Straordinario» è l’aggettivo con cui Giulio Andreotti, giusto vent’anni fa, ebbe a definire Giorgio La Pira. Termine che torna buono...
Straordinario» è l’aggettivo con cui Giulio Andreotti, giusto
vent’anni fa, ebbe a definire Giorgio La Pira. Termine che torna buono anche
per fotografare il lungo rapporto fra due uomini politici, due amici, che
attraversarono insieme, con tutte le inevitabili ed evidenti distanze originate
dalla diversità di formazioni e temperamenti, tre decenni di storia nazionale e
internazionale del Novecento.
L’eccezionalità di questo legame traspare nitidamente pressoché in ogni pagina
del volume curato da Augusto D’Angelo, in cui è raccolto il carteggio
intercorso fra il sindaco santo e il politico romano fra il 1950 e il 1977. Il
titolo, più attuale che mai, è «Bisogna smettere di armare il mondo» (Firenze,
Edizioni Polistampa, prefazione del cardinale Matteo Zuppi).
L’epistolario – il cui contesto storico è accuratamente documentato e
brillantemente illustrato da D’Angelo, docente di Storia contemporanea alla
Sapienza di Roma e curatore delle opere di La Pira per la Fondazione a lui intitolata
— rappresenta una formidabile testimonianza dell’assidua collaborazione fra due
personalità per le quali la politica era «una maniera esigente di vivere l’impegno
cristiano al servizio degli altri», per usare l’espressione di Paolo VI nella lettera
apostolica Octogesima adveniens. Così le differenti peculiarità individuali
diventavano una ricchezza davvero straordinaria.
La fitta corrispondenza si dipana nelle numerose sollecitazioni — effetto di
una «santa ostinazione... anche provvidenziale», notò lo stesso Andreotti — che
il sindaco di Firenze inviava al suo collega a Roma per chiedergli di interessarsi
e intervenire (dapprima in qualità di sotto segretario alla Presidenza del Consiglio,
poi di ministro e capo di governo) su varie questioni che gli stavano a cuore:
dalla valorizzazione artistica della sua città alla difesa del diritto alla
casa per tutti; dal soccorso ai poveri al rapporto con i socialisti e all’“apertura
a sinistra” della Dc; dall’organizzazione dei convegni internazionali per la
pace all’aiuto da fornire alle suore di clausura sparse nel mondo;
dall’obiezione di coscienza relativa al servizio militare all’esperienza dei “colloqui
mediterranei” e della diplomazia informale per i rapporti col mondo arabo; dalle
vicende dei referendum su divorzio e aborto alla tutela del lavoro degli operai
contro industriali senza scrupoli.
Nelle missive di La Pira emergono «semplicità, (...) spirito, volontà di ferro,
eleganza toscana su uno sfondo duro di siciliano», sottolineava Andreotti in un
ricordo dell’amico, alla personalità del quale non esitava ad avvicinare quella
«leggendaria di “Pippo buono” che incolonnava i romani per la visita delle
Sette Chiese, intonando strane canzoni per dire che ogni cosa è vanità e che a
nulla sarebbe valso se avessero avuto “più soldati che non ebbe Serse armati”».
E dunque, a proposito dei soldati evocati dalla musica di “Pippo buono”, molte
delle lettere di La Pira ad Andreotti, come del resto è denunciato dal titolo
del libro, riguardano la lotta, nella quale il professore fiorentino fu sempre
notoriamente impegnato, per «la costruzione della “tenda della pace”» che fosse
«il punto attrattivo del mondo» per il dialogo fra i popoli al di fuori delle
tragiche polarizzazioni belliche. Un luogo fisico che lui immaginava potesse
essere Roma. Fu lo stesso Andreotti a evidenziare il «valore profetico» di tale
«filosofia della speranza politica», in un articolo pubblicato sul mensile «30Giorni»
nell’ottobre 2002: «Ma quel che resta dei suoi insegnamenti — anzi, con il
tempo se ne rafforza il valore profetico — è la sensibilità per l’Oriente in
una serena composizione delle attese del mondo arabo e della difesa dello Stato
di Israele. Vi sono per questo anche radici più lontane, ma l’Italia deve a La
Pira un credito specifico di cui fruisce; ed un modello di conciliazione che dobbiamo
difendere e far sviluppare anche da chi ruvidamente ne è ancora lontano».
Data recensione: 06/03/2024
Testata Giornalistica: L’Osservatore Romano
Autore: Paolo Mattei