Chi ha i capelli bianchi e vive in alcune zone del Chianti (Greve, Lamole, Radda, una volta anche San Polo) o nell’altopiano valdarnese...
Chi ha i capelli bianchi e vive in alcune zone del Chianti
(Greve, Lamole, Radda, una volta anche San Polo) o nell’altopiano valdarnese,
sulle pendici del Pratomagno (soprattutto Piandiscò, Castelfranco, Loro
Ciuffenna) ricorda bene come un tempo si godesse lo spettacolo davvero unico
della fioritura primaverile del giaggiolo per chilometri e chilometri... Poi la
sua coltivazione, per le ragioni legate allo spopolamento delle campagne e alle
caratteristiche specifiche della sua produzione e commercializzazione, ha
subito un grosso calo fino a diventare scarsamente praticata nei decenni passati.
La coltivazione del giaggiolo (Iris
pallida Lam.) per l’utilizzazione dei rizomi – detti comunemente “gallozze”
o “gallozzole” – è iniziata in Toscana a metà del 1800. Nei mesi di settembre e
ottobre si effettua la piantagione delle barbatelle poi gli Iris crescono in
modo spontaneo, occorre la sola accortezza di liberarli dalle piante
infestanti, il principale pericolo per la coltura.
La raccolta è effettuata dopo due / tre anni dalla piantagione, in luglio e
agosto. Ancora prevalentemente con tecniche manuali (ma avanzano i processi di
meccanizzazione), la pianta viene tolta dal terreno e subito dal rizoma sono
separate le barbatelle che serviranno per la piantagione successiva. I rizomi
raccolti sono privati delle foglie e dei fili radicolari (“sbarbucciatura”),
lavati e poi tagliati a fette oppure sbucciati (“mondatura”) con il roncolino,
un coltellino appuntito e ritorto, quindi lasciati ad asciugare al sole (7-10
giorni) per renderli ben secchi. In questo secondo caso si ottengono gli Iris
decorticati, rizomi bianchi di qualità superiore utilizzati per la realizzazione
di prodotti di eccellenza. Il prodotto è poi stipato nei magazzini di
stoccaggio e dopo circa cinque mesi può essere immesso sul mercato
internazionale. In seguito le gallozze producono una sostanza chiamata “irone“,
ricercatissima dalle più importanti case produttrici di cosmetici come base per
la creazione di costosi profumi. In pratica, dopo un processo di distillazione,
il giaggiolo diventa la base per moltissimi profumi, creme di bellezza,
cosmetici, preparati di erboristeria, ma anche vini e molto altro e l’indagine
diretta ha mostrato come il rizoma essiccato di giaggiolo sia attualmente
destinato a tre mercati: principalmente l’industria francese della profumeria,
l’industria italiana di bevande alcoliche e una piccola nicchia rappresentata
dall’industria tedesca dei “succhiotti o dentaroli” per bambini. Il libro è
diviso in due sezioni. La prima è strutturata in agili capitoli che rivelano
una sicura conoscenza dell’argomento e ci raccontano la storia del giaggiolo
quasi fosse un’avventura che passa attraverso snodi decisivi per giungere
infine – novità degli ultimi anni – ai processi di ammodernamento promossi
dalla cooperativa “Toscana Giaggiolo” che riunisce la maggior parte dei
produttori del Chianti e del Valdarno (circa 110 soci nel 2022). La seconda
parte del libro racconta una singolare esperienza didattica che fin dal 2002 ha
coinvolto le classi elementari della scuola “G. Marconi” di Grassina (e poi la
“L. Michelet” dell’Antella) con gli alunni responsabili ciascuno di una
gallozzola da piantare, seguire, far crescere, descrivere, disegnare mentre si
affiancavano anche le nozioni sulla storia dell’iris e la sua importanza... Ci
resta un’ultima insoluta questione. Quando la buccia si stacca facilmente dalla
gallozzola, il giaggiolo va in succhio
o in surchio? In Chianti sembra in
uso la prima variante (p. 133), nel Valdarno la seconda...
Data recensione: 25/12/2023
Testata Giornalistica: Corrispondenza
Autore: Silvano Sassolini