Che strano paese L’Ungheria. Ai tempi del socialismo reale veniva definita come la baracca più allegra del campo di concentramento sovietico
Che strano paese L’Ungheria. Ai tempi del socialismo reale
veniva definita come la baracca più allegra del campo di concentramento
sovietico. Uno dei nomi maschili più diffusi è Attila, perché è qui tra queste
pianure che pose il suo campo, Il Ring. Ma dagli studi condotti da Luigi
Cavalli-Sforza sul Dna degli ungheresi non è emerso un briciolo di sangue unno.
Inoltre la loro lingua è letteralmente un’isola nella Mitteleuropa, imparentata
semmai con il finlandese. Esce ora questa monumentale opera per i tipi delle
Edizioni Polistampa, autore il giornalista Riccardo Catola, Chiamatemi Ungar, da Budapest all’Italia
guerre, amori e rivoluzioni dell’esimio profugo Professor Ferenc, Csikusz
per gli amici. Profondissima e bellissima, la prefazione di Franco Cardini.
Difficile è recensire quest’opera. Saggio storico? Autobiografia e/o biografia
alla Jorge Luis Borges? Romanzo verità? Finzione reale alla Roberto Bolaño?
Come nell’immensa opera di Elias Canetti, la sua autobiografia divisa in
diversi volumi, un io narrante che si fonde magistralmente con i personaggi e
la storia, racconta, unisce pubblico e privato, come Omero narra delle guerre e
dei sentimenti più profondi. Un ungherese che diverrà clinico di fama,
terminando la sua vita in Italia, attraversa il secolo breve, il Novecento,
affollatissimo di personaggi che appartengono alla sua vita e altri che
appartengono alla tragedia politico sociale di quel secolo.
Transeitania e Cisleitania, la prima divisione che il 1848 ungherese impose
agli Asburgo, dando vita alla Monarchia Austro-Ungarica (con la riforma
costituzionale del 1867 operata dall’Imperatore Francesco Giuseppe vennero
creati due Stati distinti, ma uniti dal vincolo dinastico, uno al di qua,
l’altro aldilà del fiume Leitha). Tale compromesso abbandonò le popolazioni
slave al predominio magiaro, rivelandosi esiziale alla stessa monarchia. Lo
sfondo della Belle Époque, dove Joseph Roth osservava con orrore i prodromi di
quello che sarebbe accaduto ritrovandosi davanti al palazzo imperiale nel
novembre del 1918 a chiedersi “e ora?”. La nascita irrefrenabile dei
nazionalismi e il riprendere forza dell’antisemitismo. La ferocia della Grande
Guerra dove, a detta dell’autore, i Romeni si arrendevano in interi reparti
agli Austriaci per non finire nelle mani degli Ungheresi.
La fine dell’Impero fa nascere esperimenti di bolscevismo sanguinario, come già
a Weimar, ma subito dopo negli anni Venti la borghesia consegnerà il potere
all’ammiraglio Horthy, ammiraglio senza flotta e uomo conservatore. Il Paese
seguirà le sorti dell’Asse hitleriano e Budapest diverrà alla fine del 1944
teatro di una sanguinosissima battaglia tra l’Armata Rossa e le Croci
Frecciate, i filonazisti ungheresi di cui Hitler non si fidava assolutamente e
ai quali consegnò le chiavi del governo solo prima della caduta della intera
Ungheria nelle mani del soldati di Stalin. Poi il cupo cielo sovietico e la
rivolta del 1956, con gli agenti della polizia politica appesi per i piedi agli
alberi e arsi vivi. Descritta anche dall’inviato Indro Montanelli con un film I sogni muoiono all’alba che ebbe tra i
suoi protagonisti anche Lea Massari.
Ferenc, così Catola chiama il suo io narrante, riesce a sfuggire miracolosamente
a tutti questi orrori e ad approdare in Italia dove diverrà un clinico di fama
e sarà anche amico di Mario Pannunzio. Chissà che cosa scriverebbe ora Joseph
Roth, assiso di fronte al palazzo imperiale asburgico.
Catola è uno scrittore di razza che è riuscito in una grande impresa: unire la
storia alle storie. Da leggere assolutamente.
Data recensione: 26/06/2020
Testata Giornalistica: Il Buongiorno
Autore: Angelo Ricci