Accade che la vita infili, tra un passo e l’altro del tuo cammino, incontri capaci di farti cambiare prospettiva
Accade che la vita infili, tra un passo e
l’altro del tuo cammino, incontri capaci di farti cambiare prospettiva sulle
cose. Sono, di solito, personaggi che hanno a che fare con la Memoria. Il
giornalista fiorentino Riccardo Catola ha fatto tesoro di uno di questi
incontri necessari, rendendolo protagonista di un’opera che sta tra romanzo,
saggio, (auto)biografia (è il protagonista stesso a raccontarsi per voce
dell’autore, che però s’identifica nei valori e nel pensiero di cui quell’uomo
è portatore), reportage di un’esistenza che valeva la pena d’essere raccontata.
Perché condensa gli orrori e clamori di un secolo che ancora si fa sentire – il
Novecento – e il destino della Mitteleuropa, da sempre punto di riferimento di
una formazione culturale profonda e persino spregiudicata. Chiamatemi Ungar è la storia piena di colpi di scena, come un
romanzo d’avventura, di Ferenc Ungar, uomo in fuga come il protagonista de Il
pianista: dalla Shoah (viene battezzato protestante), dai carri armati
sovietici, dall’inerzia dell’Occidente. L’approdo in Italia lo mette in
contatto con il milieu degli intellettuali romani, infine la carriera di
medico, e di console onorario del suo paese (l’Ungheria) a Firenze. Catola sa
risolvere un puzzle da rompicapo incastrando benissimo le tessere del secolo
breve con la dimensione privata, vissuta da un testimone eccellente.
Lo fa con un entusiasmo altrettanto avventuroso, che lo porta a trattare la
metà oscura della Storia con un equilibrio e un’ironia difficili da praticare.
Soprattutto quando si ha a che fare con pezzi viventi di storia.
Data recensione: 11/06/2020
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Fulvio Paloscia