Le corse coi sacchi (una volta si diceva «con le cappe a piè»), le partite a pallone («a palla grossa»)
Chi ha
nostalgia dei passatempi tradizionali, alcuni davvero antichissimi, può leggere
il bel compendio illustrato firmato da Alfredo Altieri e Alfredo Scanzani edito
da Sarnus nella serie dei «Toscanoni», di Lorella Pellis
Le corse coi sacchi (una volta si diceva «con le cappe a piè»), le partite a
pallone («a palla grossa»), il nascondino (anche detto «rimpiattino» o «fare a
cucco»). Non è colpa del lockdown e del distanziamento sociale se ai bambini
mancano tanti bei giochi di una volta: a soppiantarli ci hanno già pensato, in
tanti casi, cellulari e tablet. Nel tempo degli smartphone e di videogiochi più
sorprendenti della fantasia, all’alba di una rivoluzione tecnologica che sta
proiettando la vita dell’uomo ( comprese le attività ludiche) in un’era
digitale che fino a ieri apparteneva alla più ardita e spedita fantascienza, ha
senso parlare di giochi praticati in periodi lontani? La risposta è sì,
parlarne ne vale la pena. I giochi veraci e innocenti, infatti, restano custodi
di perdute ritualità, esercizi fisici, culture millenarie, saperi di ogni
classe sociale. Chi ha nostalgia dei passatempi tradizionali, alcuni davvero
antichissimi, può leggere il bel compendio illustrato firmato da Alfredo
Altieri e Alfredo Scanzani intitolato Giochi
a Firenze e in Toscana nel Rinascimento (pagine 144, euro 12), edito da
Sarnus nella serie dei «Toscanoni». Il lavoro di Altieri e Scanzani ha avuto
inizio dopo aver consultato un manoscritto cinquecentesco contenente, oltre
allo scarno elenco di giochi, l’illustrazione di esercizi ginnici e prove di
forza, esibizioni di destrezza e qualche canzoncina. Naturalmente nel volume
non si parla soltanto di attività «atletiche»: c’è spazio per le carte, i dadi,
gli scacchi, i giochi da tavolo come lo sbaraglino, più conosciuto come
Backgammon. Gli autori, giornalisti di vecchia data ed esperti di tradizioni
popolari, hanno attinto da antiche cronache e vecchi trattati per ricordarci come
il gioco in sé sia da sempre un diritto , oltre che un impulso naturale. Giostre
e capriole, palloni, zuffe, filastrocche e tante, tantissime corse all’aria
aperta sono inoltre strumenti per addestrare la memoria o esercitare il corpo,
ma anche imparare a socializzare e, perché no, a evitare i pericoli. Strumenti
che aiutano il fanciullo a diventare grande, e l’adulto a tornare un po’
bambino. «Stare insieme e ridere di cuore per un niente – spiegano Altieri e
Scanzani - riesce soltanto ai piccoli. Essi sono scaltri per natura, furbi,
sanno come vivere la bellezza del gioco e della vita. Osserviamoli,
ascoltiamoli, rispettiamoli, torniamo a riscoprire con loro gentilezza e
allegria, incatenando ai bordi del campo quella malizia degli adulti che da sempre
trasforma il gioco in uno sciocco, rovinoso azzardo». Uno dei giochi più belli
resta, senza dubbio e da sempre, quello di inventare e cantare ninne nanne ai
più piccoli, invitandoli a dormire augurando loro sogni gioiosi. Dopo aver
parlato di passatempi praticati nel Rinascimento, nell’appendice del volume gli
autori propongono alcune nenie che risalgono a quei secoli.
Data recensione: 07/06/2020
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Lorella Pellis