Per fare il giornalista bisogna avere una buona dose di ingenuità. Non si deve essere disincantati
Per fare il giornalista bisogna avere una buona dose di ingenuità.
Non si deve essere disincantati. Si deve credere in quel che si fa. Per fare
bene il mestiere, è importante avere inclinazioni da camaleonte. Bisogna voler capire
l’altro e anche volergli assomigliare o adeguarsi alla situazione. Sorrido
pensando che nei Paesi arabi andavo in giro con buffi fez color amaranto e che
in Russia col colbacco sembravo più russo dei russi. Quando facevo l’inviato
sembravo un inviato, quando facevo il direttore sembravo un direttore». Così Giovanni
Morandi – fiorentino, editorialista del «Quotidiano Nazionale», dopo aver
guidato «Il Giorno», «Il Resto del Carlino» e lo stesso «QN» – nelle sue
memorie appena pubblicate col titolo ll giornale
fatto coi piedi. Storie di un inviato speciale (Mauro Pagliai Editore, pp.
256, euro 12) sintetizza la «filosofia» di una professione ancora tanto ambita
dai giovani, ma che purtroppo paga il prezzo della pesante crisi della carta
stampata che perde ogni giorno lettori. Un libro nato dalle agende compilate e
gelosamente custodite per tutta la vita, scritto quindi sotto forma di diario, che
permette all’autore di parlare liberamente delle sue sensazioni, emozioni e
opinioni – quasi come le stesse confidando ad un amico molto stretto – di
quando «i giornalisti partivano e consumavano le scarpe e non restavano in redazione
a consumarsi gli occhi davanti ai computer». Pillole di piacevole lettura,
perché velate di sottile ironia, che comunque fanno intuire la forza della
scrittura di Morandi, l’energia della raffigurazione, la fluente, precisa
costruzione di ogni suo articolo pubblicato sui giornali della Poligrafici
Editoriale. E insieme, la felicità ogni volta del capire e del raccontare, una
sorta di abbandono responsabile e vigile al richiamo della storia, qualcosa di
quasi fisico, materiale, dove la vicenda lo domina possedendolo. Perché lui ha
vissuto veramente, da osservatore, alcuni appuntamenti con la Storia, senza mai
dimenticare le tre regole d’oro del grande Egisto Corradi, avallate da Indro Montanelli:
«L’inviato speciale è sempre nato ieri. Fìdati degli odori e degli umori. E
verifica gli odori e gli umori». Corrispondente da Mosca negli ultimi anni
dell’URSS, ha assistito, unico giornalista straniero, allo storico ammainabandiera
avvenuto il 25 dicembre 1991 al Cremlino, descritto con intensa partecipazione
nell’unico articolo interamente riprodotto nel libro. Ha più volte intervistato
Gorbaciov, accompagnandolo anche nei suoi viaggi da «pensionato» in Italia. Con
la stessa densità emotiva ci fa rivivere i lunghi soggiorni in Polonia (si era
addirittura trovato un sarto di fiducia!) fin dai tempi di Solidarnosc e Lech Walesa
protetti da Papa Wojtyla; le «battaglie» ingaggiate con spie o spioni in
Bulgaria e negli altri Paesi che allora gravitavano nell’orbita di Mosca, con
Putin già insediato alla guida del Kgb. Cosi come ci rimanda ad alcuni reportages
di guerra da Medio Oriente, Africa, Libano e dai Balcani. Tragedie ed
esperienze seguite da «solitario don Chisciotte» ed a volte condivise con
colleghi poi diventati compagni di avventure, come Antonio Ferrari, Vittorio Dell’Uva
ed Ettore Mo. Senza dimenticare servizi ed inchieste dentro i confini nazionali
(hanno anche ispirato libri di successo come La beffa di Modigliani - 2004,
2016) sulla Mafia, su Tangentopoli e la nascita della Seconda Repubblica con la
discesa in campo di Silvio Berlusconi. Correndo dietro a quest’onda di eventi,
il «diario» di Giovanni Morandi ci porta quasi alle soglie dell’esplosione
populista gialloverde, nella quale però non si addentra. Mi rimane ancora qualche
riga per ritornare agli inizi del libro. Dove l’autore, citandomi, ricorda
l’approccio con il giornalismo, nella redazione fiorentina di «Avvenire», il
suo primo articolo firmato, la mattina dell’11 settembre, era un martedì, il giorno
in cui il generale Pinochet fece il colpo di Stato contro Salvador Allende. Tre
anni a raccontare i fermenti dell’Università fiorentina, prima di passare nel
1976 alla «Nazione» a narrare l’escalation di Potere Operaio nelle aule
dell’ateneo e, negli anni seguenti, la vita politico-amministrativa di Palazzo
Vecchio. Scorrono le immagini di antichi maestri o punti di riferimento (Elvio
Bertuccelli, Alberto Marcolin, Luciano Satta, Sergio Forti), di qualche amico
prematuramente scomparso (Mario Spezi). Ma soprattutto Giovanni fa capire
com’era organizzato il giornale di una volta. Lo rimpiange. Posso dirlo? Ne ha
tanta nostalgia!
Data recensione: 21/07/2019
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Antonio Lovascio