
Nella Venezia del secondo Seicento il calafato Francesco
Santurini quondam Stefano e il
“marangone” Francesco Santurini quondam
Antonio si divisero tra Arsenale e teatro. Il primo, dopo essersi distinto come
ingegnere e macchinista dei maggiori palcoscenici musicali della città, ottenne
fama europea in qualità di architetto-scenografo alla corte dei Wittelsbach a
Monaco. Il secondo, maestranza tuttofare avviata all’arte scenica, fondò quel
teatro di Sant’Angelo che sarebbe diventato, nel secolo seguente, la sala di
riferimento di Antonio Vivaldi e Carlo Goldoni.
Sulla base di documenti di prima mano, il volume fa luce su un aspetto originale,
finora sottovalutato dalla storiografia: il rapporto di unicità tra la civiltà
del mare e la civiltà del teatro nella Serenissima Repubblica. In questo
binomio fortunato si inserisce la vicenda dei due “gemelli” veneziani, intrecciata
con la storia dello spettacolo italiano ed europeo d’età barocca, tra cicli di
festeggiamenti principeschi e varo di bucintori dogali, tra pratiche di palcoscenico
e imprese d’opera costantemente sull’orlo della bancarotta.