chiudi

Aggirandosi fra i padiglioni della Biennale di Venezia, il critico d’arte ha l’impressione di passeggiare all’interno di una «grande discarica», dove «non è dato di trovare un

Aggirandosi fra i padiglioni della Biennale di Venezia, il critico d’arte ha l’impressione di passeggiare all’interno di una «grande discarica», dove «non è dato di trovare un segno, un filo di speranza, un’oasi di ristoro da qualsiasi parte si cerchi, ovunque ci si volga; sconosciuta la poesia, spento il sorriso, morta la pietà, assassinato il sogno ». Installazioni fasulle, che un tempo servivano a scandalizzare i borghesi e oggi «per convincere la massa istupidita dal benessere e asservita ai dettami televisivi ». In quei giardini «il mondo intero ci scorre miseramente davanti nella raggiunta uguaglianza del nulla, nella demenzialità miserevole, repellente». Una visita alla Biennale può essere valutata alla stregua di un’opera di misericordia, come «visitare gli infermi» o, meglio, «seppellire i morti». La voglia di stupire si spenge tra gli sbadigli, con «il sapore acre della parata in maschera che nasconde la tragedia ». Quella di chi, convinto con Renoir che «l’arte deve tendere con ogni forza a far dimenticare le brutture della vita», vede oggi tramontato il gusto della bellezza, superato quello del repellente e trionfante solo solo la noia. Non si tratta di una stroncatura della Biennale di questi giorni, ma di pagine che si riferiscono a quelle del 1993 e del 2001, scritte da Sigfrido Bartolini, scomparso due mesi fa, e ora giustamente ricordato da Polistampa con la tempestiva riedizione di una raccolta dei suoi articoli apparsi sul Giornale, l’Indipendente, Libero e il Borghese. Una prosa sempre vivace e godibile che si erge senza reticenze contro gli snobismi e le mode che hanno fatto dell’arte contemporanea una «grande impostura». Tutt’altro che reazionaria, tanto da ospitare giudizi assai calibrati sull’importanza di Andy Warhol, da ammaestrarci con letture illuminanti di Magritte e di Kandinsky, ma sempre pronto a vigilare sull’incomprensione e la malafede di tanti critici contemporanei (bersaglio preferito: Achille Bonito Oliva), più irresponsabili della stravaganza degli artisti. Contro la critica che ha cavalcato «la nequizia dei tempi, la debolezza creativa e lo smarrimento generale » per «ergersi a arbitra, manager, suggeritrice e infine maestra unica e indiscussa». Poiché «il sonno della ragione genera mostre», Bartolini non sa darsi pace per la cultura «degradata a spettacolo, divertimento, passatempo non sempre edificante ». E ci lascia pagine memorabili su De Pisis e Hokusai, Modigliani e Sironi, Viani e Henry Moore.
Data recensione: 07/07/2007
Testata Giornalistica: Il Domenicale
Autore: Fabio Canessa