Si è svolta nella Sala delle Regie Poste degli Uffizi, la mostra Santa Maria Nuova e gli Uffizi, curata dalla prof.ssa De Benedictis, dall’arch. Coppellotti e dalla dott.ssa Esther Diana, che ci
Si è svolta nella Sala delle Regie Poste degli Uffizi, la mostra Santa Maria Nuova e gli Uffizi, curata dalla prof.ssa De Benedictis, dall’arch. Coppellotti e dalla dott.ssa Esther Diana, che ci ha permesso di conoscere meglio la struttura e la storia dell’antico ospedale di S. Maria Nuova. Le raccolte museali delle collezioni fiorentine ci presentano una molteplicità di capolavori dalle più varie provenienze; dietro ogni opera si nasconde una storia, che se raccontata, apre ai più una visione nuova della storia della città, e dei suoi edifici, entrati ormai nella quotidianità del “colpo d’occhio”. Partendo da uno di questi capolavori universali, come per cerchi concentrici, è possibile parlare di una istituzione, florida nei secoli passati, che ha vissuto nell’ultimo secolo momenti e vicissitudini difficili. Il capolavoro in questione è Il trittico Portinari di Hugo van der Goes1 opera davanti alla quale, ancora oggi, si rimane in una muta adorazione. Tale capolavoro, non arrivò a Firenze quale bottino di guerra, o frutto di una donazione, o per altre misteriose vie, bensì commissionato dall’occhio illuminato di un ricco mercante fiorentino, Tommaso Portinari, il quale nei suoi viaggi di lavoro in Europa, conobbe e apprezzò la nuova arte fiamminga, e ne rimase affascinato. Il trittico fu dipinto a Bruges (Tommaso Portinari vi risiedeva con la famiglia, quale agente della banca Medìcea) sotto sua commissione, ed era destinato all’altar maggiore di S. Egidio, chiesa dell’Arcispedale di S. Maria Nuova a Firenze. Spedito via mare, dalla Sicilia arrivò a Pisa, e di qui risalendo il corso dell’Arno arrivò a Firenze alla porta S. Frediano il 28 maggio 1483. Quando giunse suscitò immediato scalpore sia per le sue dimensioni (insolite per quel tempo), che per alcune innovazioni (nell’opera prevale la ricerca di un bello irregolare, l’elemento contadino popolaresco). Il gruppo dei pastori adoranti, soggetto insolito a Firenze, fece scuola, tanto che Domenico Ghirlandaio lo ripropose nella sua Adorazione del Bambino del 1485 per la chiesa di S. Trinita, commissionatagli da Francesco Sassetti. Già nel 1285 Folco Portinari, antenato di Tommaso, aveva acquistato un terreno sul quale, avuto il permesso da papa Onorio IV, aveva terminato la costruzione di un ospedale, che nel corso degli anni si ingrandì. Per secoli l’ospedale si pose come riferimento importantissimo per la città e per i suoi artisti. Negli anni infatti si formò una vera collezione d’arte, arricchita dalle numerose donazioni, dalle opere commissionate dagli Spedalinghi, da enti assistenziali che, soppressi nel periodo lorenese, erano stati riaccorpati all’Arcispedale. A testimonianza di questo, vi era una ricchissima e straordinaria raccolta di capolavori (poi smembrati in vari musei cittadini alla fine dell’Ottocento), opere di: Cennino Cennini, Lorenzo di Bicci, Taddeo Gaddi, Memling, Mariotto di Nardo, Andrea del Castagno, Beato Angelico, Lorenzo Monaco, Lorenzo di Credi, Andrea del Verrocchio, Francesco Rosselli, Rosso Fiorentino, Antonio Rosellino, Luca della Robbia, Sandro Botticelli, Raffaellino del Garbo, Cesare Dandini, solo per citare i più noti, in pratica un repertorio di quadri rappresentante tutta la pittura toscana dal Trecento al Settecento. I musei che beneficiarono di tale patrimonio furono in primo luogo gli Uffizi (di cui più avanti si parlerà), il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, la Galleria dell’Accademia, il Museo Nazionale del Bargello, la Galleria Palatina, Il Museo degli Argenti, il Museo di Palazzo Davanzati, il Museo dell’Ospedale degli Innocenti, oltre a Prefettura, Provincia, e altri ancora; tale elenco serve a dare un’idea della enorme quantità di opere che erano custodite nell’Ospedale. I maggiori capolavori furono trasferiti agli Uffizi; per far questo fu necessaria l’approvazione di una legge dello Stato per l’acquisto, legge approvata il 1 aprile 1900. A curare le trattative tra l’Arcispedale e lo Stato aveva provveduto Enrico Ridolfi, direttore delle Reali Gallerie e Museo del Bargello e Eugenio Pieraccini. L’Ospedale giunse a tale accordo poiché da tempo versava in disagi economici, e di conseguenza con la cifra versata dallo Stato in tre rate annuali, circa mezzo milione di lire, avrebbe potuto risollevarsi. Nella consegna formalizzata agli Uffizi (1902), furono ben 83 le opere citate. Alcuni dei maggiori capolavori, per la precisione sette (tra i quali il trittico Portinari, l’Incoronazione della Vergine del Beato Angelico, le due tavolette di Memling), erano già in deposito agli Uffizi dal 1825 per diretta volontà del Granduca di Toscana Leopoldo II di Lorena, il quale era venuto incontro a un desiderio dell’allora Direttore della Real Galleria delle Statue Antonio Ramirez di Montalvo. Va ricordato che comunque già dal 1870 era stata inaugurata una piccola Pinacoteca (tre sale delle stanze di facciata) dell’Arcispedale dove esposero parte delle opere. Oggi si vorrebbe proprio riallestire un museo presso l’Ospedale, dove esporre parte delle opere conservate in sito, e parte delle opere conservate a Careggi2. Naturalmente le raccolte d’arte dell’Arcispedale non contavano solo pezzi di quadreria, ma erano ricche di cassoni, reliquiari, calici, ostensori, oggetti di arti minori, le quali, considerate di secondaria importanza nel corso dell’Ottocento, non furono trasferite ad altri Enti, la qual cosa permise che moltissimi di questi pezzi rimanessero nella loro sede originale, in quanto non di diretto interesse per lo Stato. Lo smisurato patrimonio artistico dell’antico ospedale ha subito una cospicua diaspora agli inizi del XIX secolo con le vendite di opere alcune delle quali di altissimo valore: una per tutte il Trittico Portinari di Hugo van der Goes, confluito nelle Gallerie fiorentine, in primis agli Uffizi e in alcune altre sedi istituzionali. Ciò nonostante la consistenza del patrimonio artistico non alienato in quella occasione è altrettanto cospicua per numero di opere a valore artistico e tale da costituire, insieme alle testimonianze di varie epoche della vita istituzionale e assistenziale dell’ospedale, il materiale per la costituzione di una particolare raccolta museale all’interno dell’antico edificio, la cui inaugurazione, unitamente ai radicali lavori di restauro e rifunzionalizzazione del complesso sarebbe prevista intorno al 2010. Una collezione interessante conservata nell’ospedale fino al 1927 (poi ceduta all’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze), è quella delle cassette di strumenti chirurgici (ve ne sono altre due realizzate dal coltellinaio Maillard: una all’Accademia viennese, l’altra Museo per la Storia dell’Università di Pavia) realizzata nel tardo Settecento. Tale collezione donata all’Ospedale nel 1785 dallo stesso Granduca, fratello di Giuseppe II d’Austria. L’altra interessante collezione è quella delle cere anatomiche e ostetriche sempre d’epoca lorenese realizzate a fine Settecento. Molto sappiamo dell’ospedale di S. Maria Nuova, grazie all’attento lavoro svolto dalla prof. De Benedictis, dall’arch. Coppellotti e dalla dot.ssa Esther Diana, i quali con tenacia ne hanno ricostruito la storia.
Data recensione: 01/01/2007
Testata Giornalistica: I ‘Fochi’ della San Giovanni
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