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Lo studio è suddiviso in due parti, la prima delle quali, intitolata «Leon Battista Alberti e l’antichità romana» (pp. 7-146), si propone di arrecare nuovi contributi circa il rapporto di Alberti con il

Lo studio è suddiviso in due parti, la prima delle quali, intitolata «Leon Battista Alberti e l’antichità romana» (pp. 7-146), si propone di arrecare nuovi contributi circa il rapporto di Alberti con il mondo e la cultura letteraria e figurativa antichi. Specificamente l’A. mette in luce le intime connessioni tra il tentato ripescaggio del relitto di una nave sprofondata nel lago di Nemi, impresa in cui l’umanista genovese potè far sfoggio delle sue ampie competenze matematico-ingegneristiche, e gli echi che tale eventò proiettò nella stesura del De re aedificatoria (1446-1447). La riesumazione dello scafo antico si può considerare espressione del rapporto di Alberti con l’ambiente romano del cardinale Prospero Colonna. Sono lumeggiate inoltre le fonti letterarie latine utilizzate dall’Alberti nella redazione del De re e di altre sue significatrive opere: Teofrasto (De causis plantarum e De plantis), Basilio (Homiliae in Hexaemeron) e Eusebio di Cesarea (Praeparatio evangelica), Vitruvio (De architectura), Frontino (Strategemata), Vegenzio (De re militari), Plinio il Vecchio (Naturalis historia), Arriano (Anabasis Alexandri), Plutarco (Vitae parallele), Celso (De medicina), per citare le maggiori. L’A. accenna quindi ad un trattato albertiano perduto (Liber de navis), la cui ideazione va messa in rapporto con il cimento archeologico effettuato sul relitto nemoriense, e a un De re aeraria, trattato sulla statuaria in marmo e in bronzo, parimenti non pervenuto. La scomaprsa di questi due opuscoli integrativi al De re sarebbe spiegabile con un intervento selettivo operato posteriormente dallo stesso Alberti. L’A. osserva come la presenza di Alberti nella cerchia degli umanisti vicini ai Colonna costituisse occasione di scambio paritetico e incessante con nomi illustri della Roma nel corso dei pontificati di Eugenio IV, Nicolò V e Pio II. Infatti non solo l’Alberti risentì dell’amicizia e dei contributi traduttivi e storico-filologici di uomini come Bessarione, Teodoro Gaza, Giovanni Tortelli, ma spesso corresse le fonti storiche antiche, avidamente meditate, con esperienze di visite dirette sui siti di interesse archeologico e rovinistico sparsi intorno a Roma, coll’affinarsi della sua logica spaziale e della capacità di un’attenta osservazione dei dati materiali topografici. L’A. nota per di più come, coll’avanzamento del lavoro del De re, l’Alberti si liberasse progressivamente da una coercitiva dipendenza dalla Roma instaurata di Biondo Flavio e attendesse ad una vigile lettura degli storici antichi, quali Livio, Svetonio (Vitae Caesarum), Tacito (Annales), Plutarco, del quale Alberti utilizzò soprattutto le Vite di Romolo, di Camillo e di Numa, il Varrone del De lingua Latina. Oltre che per gli aspetti architettonici, l’Alberti dovette inoltre mostrare un potente interesse per le sfumature politico-istituzionale della Roma antica, per la sua storia civile prima dell’instaurazione dell’Impero. Nel secondo capitolo, dal titolo «Tra Roma e Firenze: antico e non solo» (pp. 147-296), al centro della trattazione è la molteplicità dei contatti culturali e politici intrattenuti dall’Alberti con il variegato cosmo romano, la turbolenta Firenze percorsa, a cavallo tra gli anni Trenta e Settanta del Quattrocento, dalle violente contese armate tra il partito mediceo e le fazioni oligarchiche filorepubblicane e la corte gonzaghesca di Mantova. Pur relegato in posizione alquanto isolata, Alberti restò, al cospetto dei contemporanei, un riferimento emblematico quasi soggiogante per le sue larghe competenze architettoniche e antiquarie, sebbene per gli umanisti del suo secolo e di quello seguente egli si limitò a sorpassare con la penna chi lo superò con l’operare (Brunelleschi). L’A. indaga in dettaglio i rapporti col Ficino, il Manetti e l’Acciaiuoli, gettando uno sguardo panoramico sul genere di relazioni con numerosi uomini politici e dotti della sua epoca. Degna di nota è la ricognizione dell’A. su fonti finora insospettabili per il Momus e il De re, quali il Democrito delle Epistole pseudoippocratiche, il Codex Theodosiasus e le Sententiae di Pietro Lombardo.
Data recensione: 01/01/2006
Testata Giornalistica: Medioevo Latino
Autore: ––