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Lo storico Paolo Nello (“Liberalismo, democrazia e fascismo. Il caso di Pisa (1919-1925)”) è convinto che “lo studio del fascismo...

Lo storico Paolo Nello (“Liberalismo, democrazia e fascismo. Il caso di Pisa (1919-1925)”) è convinto che “lo studio del fascismo padano e di quello toscano sia fondamentale ai fini della definizione dell’identità politica di un movimento non riducibile certo alla figura di Mussolini”. Se così è, il volume “Firenze e il primo fascismo fiorentino” (Polistampa 2024) a cura di Giustina Manica, che raccoglie gli interventi di vari storici/studiosi all’omonimo convegno fiorentino del 24 febbraio 2023, rappresenta un testo utile alla comprensione e all’inquadramento del fascismo tout court. All’inizio sono i contributi di Sandro Rogari (“Alle origini della Firenze fascista”) e di Paolo Nello (“L’originalità di un paradigma: il fascismo fiorentino in chiave comparata”) e poi, oltre al resto, sono oggetto di disamina il mondo bancario, la letteratura, la stampa, la concezione della donna. Il tutto nella cornice di una insistita, indubbia specificità fiorentina che spinge Marino Biondi (“Tempi neri in letteratura”) ad affermare che “Firenze non fu la capitale del fascismo (ruolo che spettò a Milano, l’università metropolitana del romagnolo Benito), ma fu un terreno di coltura per sue variante specifiche, caratteriali, anche molto locali”. Qui “faziosità e odi secolari ebbero nuovo impulso da un regime sopraffattorio e vendicativo”. A Firenze si tenne il primo congresso dei Fasci (9-10 ottobre 1919) “al quale Mussolini, da provetto primo attore, giunse in ritardo, in volo da Fiume...”. Per Andrea Giaconi (“Il fallito tentativo di normalizzazione (1921-1923)”) “Firenze, polo d’irraggiamento del fascismo, fu centro propulsore delle dinamiche di regime ma anche e soprattutto capoluogo regionale (e punto di riferimento nazionale) della violenza politica”. Quella violenza predicata e attuata nei confronti degli avversari, tanto interni che esterni, che rappresentò “uno dei principali strumenti d’ascesa, di conquista del potere, di disciplina tra i propri adepti e di riconoscimento e appartenenza alla propria fazione”. Il termine ‘fazione’ accompagna la storia di Firenze nei secoli e anche nelle vicende del primo fascismo va usato, in certo qual modo, come chiave di lettura. Così emergono le figure dei capi-fazione Dino Perrone Compagni e Tullio Tamburini che stavano “al di sopra – scrive Giaconi – di una nebulosa di personaggi assai noti non solo a livello regionale quali Umberto Banchelli, Umberto Pasella e la triste figura di Amerigo Dumini”. Nel saggio di Rogari è una ricostruzione sociologica dell’avvento del fascismo che punta sulla mezzadria come “origine primaria della crisi”: il contratto di mezzadria “spingeva i compartecipanti verso il conservatorismo”, essendo tanto il proprietario che il contadino allarmati da novità e innovazioni di qualunque tipo che avrebbero sconvolto un equilibrio consolidato nel tempo. E poi c’era la categoria centrale (ovverosia nel mezzo) tra proprietà e mezzadri dei fattori. Per essi la stipula del patto colonico regionale (7 agosto 1920) tra l’associazione degli agrari di Gino Sarrocchi e le leghe rosse (con quelle bianche, latrici di più estremistiche istanze di esproprio, le trattative erano state interrotte) fu motivo di emarginazione e di umiliazione e pose le basi della loro convergenza “con quell’area di dissenso politico e istituzionale” che precedeva la reazione fascista. Una reazione che si sarebbe nutrita della convergenza di tanti “coriandoli separati”: proprietà fondiaria, grande capitale industriale e finanziario, ceti intermedi urbani e rurali, funzionari e impiegati della pubblica amministrazione, ufficiali e quadri dell’esercito e delle forze di pubblica sicurezza; una convergenza che si realizzò “per processo difensivo” contro il firmamento rivoluzionario che si agitava a sinistra.
Risultano altresì di interesse l’affresco sulla stampa fascista a cura di Alice Cencetti (con la primaria evidenza della “Sassaiola fiorentina” legata al fosco, enigmatico Dumini) e il resoconto di Gabriele Paolini sull’evoluzione dell’atteggiamento de “La Nazione” che, divisa tra la diffidenza nei confronti dell’uso della violenza e il sostegno a Mussolini e ai suoi uomini, ebbe in sintesi “un ruolo non piccolo nell’accreditare il fascismo come unica soluzione all’opinione pubblica”. Una evoluzione ci fu anche nella concezione (del ruolo) delle donne: il fascismo passò da una fase propulsiva di emancipazione politica e sociale (al punto da suscitare l’adesione di quasi tutte le donne futuriste) ad una successiva, coincidente con l’edificazione del regime, in cui le donne furono come risospinte verso i ruoli, ritenuti più consoni, di moglie e di madre, in “un mix di tradizionalismo e di esaltazione della potenza nazionale” come osserva Giustina Manica (“L’emancipazione femminile tra futurismo e fascismo”).
Meritano menzione anche Fabrizio Amore Bianco, intervenuto su “I ras nell’emersione del secondo e del terzo Fascio fiorentino”, e Alessandro Volpi che ha centrato l’analisi sulla figura di Umberto Pepi, nominato direttore della Cassa di Risparmio di Firenze nel 1924, nella politica bancaria del fascismo. Trattare si deve, di fascismo, nella cornice storica (onde agevolarne una adeguata conoscenza), almeno quanto lo si richiama, non di rado a sproposito, nella polemica politica di questo tempo.
Data recensione: 14/12/2024
Testata Giornalistica: Cultura Commestibile
Autore: Paolo Marini