Da anni si ripete la litania del conto dei danni e delle
accuse reciproche. Ma non si affrontano i problemi alla radice
Ma se lo meritano, gli emiliani e i romagnoli investiti da una seconda
alluvione in poco più di un anno, negli stessi identici posti, un diluvio
supplementare di accuse reciproche sulle responsabilità di quanto sta
accadendo? Manco il tempo di accendere le pompe idrovore per salvare quel che
si può nelle città e contrade invase dalle acque ed è partito lo scaricabarile.
Di qua la destra di governo contro le amministrazioni locali di sinistra ree,
secondo il ministro per la protezione civile Nello Musumeci, d’aver sprecato
«in questo decennio 595 milioni avuti dai governi di Roma per i territori più
vulnerabili». Di là l’ex governatore Stefano Bonaccini («Ma se da un anno e
mezzo è tutto in mano al commissario scelto da loro!») e la neo-presidente
regionale Irene Priolo, furente contro lo «sciacallaggio» di chi strilla in
momenti così dopo aver «lasciato soli i comuni sotto organico» ad affrontare
tutti i nodi delle emergenze ambientali. Per non dire dei tafferugli sui
ritardi negli indennizzi che Giorgia Meloni aveva promesso celeri e «al 100%» e
che si sono rivelati invece farraginosi e tirchi al punto che per certi danni
chi aveva chiesto 30 mila euro ne avrebbe in un caso ricevuti 13,83. Polemiche
destinate a incendiare ancor più la campagna elettorale. E che rischiano di
aggiunger confusione sul tema di fondo: ancora una volta l’Italia, quale che
sia il governo, appare impreparata e colta di sorpresa davanti a catastrofi
naturali destinate col cambiamento climatico ad aggravarsi.
Sono passati dieci anni da quel 2014 in cui l’allora ministro dell’ambiente
Gian Luca Galletti spiegò in Parlamento che occorrevano almeno 14 miliardi di
euro per «la prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico e l’adattamento
al cambiamento climatico». Eppure solo pochi mesi fa, dopo sei governi e
quattro anni spesi solo per la Valutazione ambientale strategica, il ministro
Gilberto Pichetto Fratin ha potuto annunciare il varo del «Pnacc», l’agognato
Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico fornito di 361 disposizioni
per contenere i disastri ambientali ma, ahinoi, del tutto squattrinato:
«Purtroppo, per questo obiettivo essenziale, non è stato stanziato un euro.
Zero», spiega Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. «Non è che non ci sia
un solo euro sul contrasto al cambiamento climatico», precisa l’ex ministro
Enrico Giovannini, «Ma tutto è disorganico, approssimato, senza il filo
conduttore». Peggio: mai come in questo caso ogni ritardo pesa di più sui
ritardi successivi, finendo per moltiplicare a dismisura i costi di interventi
indispensabili. Su tutti la «dislocazione», cioè il trasferimento altrove, di
stabilimenti, edifici pubblici, scuole, case private e così via dichiarati da
tempo ad alto o altissimo rischio idrogeologico.
Eppure molto si potrebbe fare. L’ha dimostrato nella scorsa primavera il
Veneto, colpito a Vicenza da un diluvio (400 millimetri d’acqua in poche ore)
non così diverso da quello che aveva devastato la città nel 2010. Stavolta però
senza danni grazie ai lavori su 23 bacini di laminazione in grado di contenere
la piena. Un successo che spinse Luca Zaia a dire a Marco Cremonesi: «È ora di
far partire il Piano Marshall contro le alluvioni. Meglio spendere un miliardo
per la prevenzione piuttosto che due, o chissà quanti, per riparare i danni
dopo». Parole sante. Ma difficili da reggere alle gomitate di una lotta
politica troppo condizionata dagli interessi elettorali della settimana. Un
grosso guaio per un paese come il nostro esposto ai capricci di 7.496 corsi d’acqua
praticamente tutti, Po compreso (basti ricordare l’apocalisse del 1951), a
carattere a volte torrentizio.
Un dato dice tutto: perfino Milano che si picca di essere la capitale
economica, finanziaria e culturale, come spiega il saggio in uscita per
Polistampa La nuova civiltà dell’acqua di Erasmo D’Angelis e Mauro Grassi, ha
contribuito in modo pesante all’errore di tombare sotto il cemento, in tutta
Italia, circa 20.000 chilometri d’acqua: «Sotto il manto stradale milanese c’è
un groviglio idrico unico al mondo. Un tesoro d’acqua che non ha paragoni e che
la fa come galleggiare sul mar delle acque dolci avendo nelle sue viscere la
bellezza di 370 chilometri di corsi d’acqua naturali e canali artificiali, con
170 chilometri di corsi d’acqua minori». Tra i quali il Seveso che dal 1976 al
2023 è esondato 120 volte. Più l’ultima, due settimane fa.
La stessa Giorgia Meloni, del resto, dopo l’alluvione in Romagna del maggio
2023, spiegò di esserne consapevole: «Mettere in sicurezza l’Italia è una sfida
epocale. Stiamo purtroppo scontando decenni di scelte mancate e di ritardi e l’idea,
errata, che la cura del territorio non fosse un investimento strategico.
Bisogna cambiare paradigma». Parole d’oro. Alle prese con la realtà quotidiana
dei conti, la stessa presidente del consiglio decisa a «fare la storia» sembra
tuttavia avviata nel percorso impantanato seguito, di rinvio in rinvio, dai
suoi predecessori meno virtuosi. Attaccati sempre, per scaramanzia, al cornetto
portafortuna di corallo…
Data recensione: 20/09/2024
Testata Giornalistica: Corriere della Sera
Autore: Gian Antonio Stella