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Dismisura’ è un termine suggestivo. E cioè suggestiona e suggerisce. Sin troppo inflazionato, però, come l’‘oltre’, dagli ‘scrittori della domenica’...

Dismisura’ è un termine suggestivo. E cioè suggestiona e suggerisce. Sin troppo inflazionato, però, come l’‘oltre’, dagli ‘scrittori della domenica’, che cianciano con le parole, e quanto più sono ebbre ed effervescenti, tanto più avvertono sul capo il dolce peso dell’alloro. Ma non ci si può fregiare impunemente di ‘genio e sregolatezza’, che brucano la loro erba di fuoco in praterie ardue e recondite. E se proprio vuoi nutrirti, bada a non bruciarti.
Rimbaud è ‘questo’. È un ‘Io sono’ impudico. Se lo può permettere perché, appena quindicenne, già accarezza, schiaffeggia e folgora con le sue poesie. Se lo può permettere perché, per cinque anni, vive di questo tripudio visionario, sbigottisce e inchioda con le sue provocazioni, schioda dalla sedia chi sulla sedia è fisso, proponendogli una poesia-profezia, una veggenza- sapienza che indispone, appunto, per la dismisura di cui sopra. Rimbaud è indisponente e quando ha distrutto tutto intorno a sé perché ha sfidato ogni sorta di ri-creazione, distrugge l’Io di prima e si infila nel buio di un’altra esistenza. Mercante d’armi, e forse di schiavi, approda a notti d’Abissinia, traffica con mille affari, si becca una gangrena, torna in Francia e ci muore, forse pentito (ma di che cosa?), forse no (impenitente e impertinente!).
Mario Bernardi Guardi prese, ventenne, una gran cotta per Rimbaud. Propiziata dal tuffo vorticoso nelle Opere curate da Ivos Margoni per Feltrinelli e dalla lettura di una biografia stilata con perizia da Enid Starkie (Rizzoli). Esplose subito il ferreo proposito: la tesi la faccio su Rimbaud. Poi, per uno svariar di casi, il progetto non andò in porto. Ma Rimbaud, ormai, Bernardi Guardi se lo era ficcato in testa, nel cuore e nello spirito. Bisognava ‘raccontarlo’, come una sorta di stravagante ex voto: chi lo dice, infatti, che un ‘maledetto’ non possa essere in qualche modo un ‘benedetto’ che sgomita nella tua vita arricchendola?
Ed ecco che, dopo decenni dall’‘innamoramento’ universitario, Bernardi Guardi ci dà il ‘suo’ Rimbaud (Io è un altro. Il ragazzo Rimbaud, Firenze, Mauro Pagliai Editore).
Davvero ‘suo’ perché l’autore scrive in prima persona, ‘si fa’ Rimbaud.
È il 20 ottobre del 1870, Arthur ha compiuto sedici anni e incomincia a parlar di sé. O meglio srotola il suo ‘io plurale’ di bravissimo studente di Charleville (Ardenne), figlio di una massaia rurale abbandonata dal marito, che da Arthur e dagli altri figlioli pretende doveri, doveri e doveri. Ma Arthur, che colleziona buoni voti, riconoscimenti e premi, non ci sta. Già comincia a ‘vedere’ quello che gli altri non vedono, finge di essere un bravo bambino ma è un ribelle che freme di tutte le aspirazioni e le collere possibili, e aspetta solo l’occasione per infrangere l’ordine costituito in tutti i suoi aspetti. E siccome è esplosa la guerra franco-prussiana, se ne va via dal ben pensante tedio di Charleville, dai suoi mercanti, dai suoi preti e dalle sue beghine. Via, sulle ali della libertà e della poesia sregolata, folle, veggente. Tutto questo in una manciata d’anni perché il poeta nasce a quindici e muore a venti, e poi fa dell’altro, senza che nessuno capisca il perché.
Ebbene, Bernardi Guardi racconta gli anni del ‘ragazzo selvaggio’, con una solidarietà e corrispondenza che intriga e ti dice il senso, il non senso e il mistero di una vita e di una poesia spericolate. Dove l’‘oltre’ c’è. Eccome.
Data recensione: 01/05/2024
Testata Giornalistica: La Biblioteca di via Senato
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