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Uscito postumo dopo un’attività pluriennale di studi e ricerche instancabili, il tributo di Stefano Mazzoni alla storia dello spettacolo...

Uscito postumo dopo un’attività pluriennale di studi e ricerche instancabili, il tributo di Stefano Mazzoni alla storia dello spettacolo (o, meglio, alla storia tout court) è un affresco sulla civiltà teatrale dell’Europa festeggiante che annoda le esperienze e le esistenze di uomini e di cose i cui racconti si susseguono a perdifiato per settecentosettantotto pagine di testo e centotrentasei immagini a colori e in bianco e nero. Una sorta di grand tour fatto di piccole e grandi tappe e di camminamenti impervi che solcano in lungo e in largo il Vecchio Continente, dalle punte più estreme a occidente della penisola iberica alle frontiere orientali della Russia zarista, fino a lambire le terre d’oltreoceano negli sconfinamenti primo ottocenteschi (con l’episodio non secondario di Lorenzo Da Ponte a New York). Un libro che guarda con convinzione e perfetta autocoscienza alla lunga durata, privilegiando quell’ottica contestuale di tipo comparativo e globale tanto cara allo studioso recentemente scomparso: allievo ideale di Marc Bloch, Braudel, Duby, discepolo diretto di Ludovico Zorzi, a sua volta “maestro” annoverabile tra i massimi indagatori della storia teatrale d’età moderna (e non solo).
Armato di una metodologia di ferro, Mazzoni la enuncia nel suo Prologo ed Epilogo (uniti come in un cortocircuito) per poi testarla di volta in volta, senza «griglie [...] universali preventive», nei «perimetrati esempi» (p. 10) della sua trattazione. L’attenzione ai rapporti tra committenti, artisti e spettatori, la necessità di raccordare i contesti di produzione, realizzazione e fruizione nella lettura dell’evento teatrale e la convinzione (con Siro Ferrone) che lo spettacolo sia il risultato di una concertazione tra tutte le forze in campo sono il credo che lo studioso condensa in una specie di manifesto, non privo di vis polemica contro le derive del «presentismo» (p. 44) e dei gender studies da parte di certa storiografia “alla moda”.
È questo l’equipaggiamento metodologico necessario che Mazzoni sente il dovere di fornire al lettore prima di portarlo a spasso nel tempo e nello spazio di storie che dialogano con la Storia, di microeventi da raccordare con i grandi eventi dinastici, di “periferie” indissolubilmente intrecciate con i maggiori centri di divertimento e di potere della vecchia Europa. La passione per la microstoria sostiene la scelta ben consapevole di allineare i viaggi dei grandi interpreti della politica e dello spettacolo sullo scacchiere internazionale con le peregrinazioni, non meno rilevanti, del tabacco e del cioccolato scambiati in gran quantità tra Carlo Broschi detto Farinelli, dalla Spagna, e il “gemello” Metastasio di stanza alla corte di Vienna (cap. II). Così come l’amore per il dettaglio quale traccia di presenza divina, postulato a suo tempo da Flaubert, motiva la menzione di particolari apparentemente secondari nel dipanarsi del racconto quali gli «occhi cerulei» di Maria Luisa Gabriella di Savoia (p. 58), l’insonnia del viaggiatore Giovanni Francesco Gemelli Careri «per l’ululare dei cani sulle montagne di Trebisonda» (p. 59), le abitudini di pranzo dei parigini negli anni Ottanta del Settecento all’epoca di Goldoni (pp. 561-562) o l’odio di Elisabetta Farnese consorte di Filippo V per la «cucina spagnola», con tutto che «godeva di ottimo appetito» (pp. 147-148).
Insofferente alla prassi della narrazione saggistica tradizionale, Mazzoni evita ogni prevedibile gerarchizzazione delle informazioni mettendo sullo stesso piano fatti a prima vista minori ed eventi storicamente cruciali, relegando le note a piè di pagina alla funzione quasi esclusiva di supporto bibliografico (peraltro ricchissimo e generosissimo). Un impianto così congegnato consente da un lato di evitare la dispersione di dati importanti inserendoli nel tessuto principale del testo e offrendo loro pari dignità di lettura; dall’altro di trasformare le note a piè di pagina in repertori bibliografici veri e propri da consultare alla bisogna, sulla scia di guide illustri ma ormai datate e tutte da aggiornare su temi e problemi di Teatro come quella pubblicata da Fabrizio Cruciani e Nicola Savarese per Garzanti nel lontano 1991.
Analogamente Mazzoni riversa nel suo libro un’ideale, enciclopedica tavola sinottica di eventi cronologicamente appaiati ma distanti nello spazio, cucendo il tutto in un racconto non lineare, a tratti perfino destabilizzante e di certo sorprendente, in cui prendono posto l’uno accanto all’altro, senza soluzione di continuità, l’attività di Ferdinando Bibiena alla corte di Carlo III d’Asburgo, la partenza per l’Inghilterra di Sebastiano Ricci, l’ingresso della Madonna dell’Impruneta nella Firenze dell’ammalato gran principe Ferdinando de’ Medici, il trionfo del Rinaldo di Händel di scena al Queen’s Theatre di Haymarket a Londra. Eppure i fili di collegamento tra tutti quegli avvenimenti, invisibili e mai esplicitati, ci sono e ben saldi, al di là della concomitanza cronologica (nel caso specifico l’anno di grazia 1711): Ferdinando Bibiena e Sebastiano Ricci mossero i loro primi passi insieme, a Parma, sotto l’egida di Ranuccio II sullo scorcio degli anni Ottanta del Seicento; lo stesso Ricci, a sua volta protetto del gran principe Ferdinando, lavorò con il nipote Marco ad Haymarket, che di quel teatro fu in più occasioni scenografo, sul principio del secondo decennio del nuovo secolo.
C’è dunque una regia discreta e, insieme, ben controllata dietro al viavai di personaggi, di relazioni, di esperienze, che in un formidabile e fitto concatenarsi di vicende spesso raccontate in flashback (o in flashforward) contribuiscono ad animare i cantieri dei grandi spettacoli dinastici o a dare linfa ai circuiti commerciali della «cosiddetta Commedia dell’Arte» (p. 130) tra il XVI e il XIX secolo: dai fastosi eventi teatrali intrisi di messaggi politici sullo sfondo della guerra di successione spagnola (cap. I) al ruolo impresariale del castrato Farinelli alla corte di Madrid (cap. II); dai viaggi dei Trufaldines sulla rotta tosco-spagnola (cap. III) alla macchina spettacolare madrilena nel segno di Cosimo Lotti, Baccio del Bianco, Filippo Juvarra, Antonio Maria Antonozzi (cap. IV); dalle propaggini illuministiche nel crocevia internazionale del porto franco Livorno in rapporto con la Russia dell’illuminata zarina Caterina II (cap. V) agli intrecci dell’età del granduca di Toscana Leopoldo II (cap. VI); fino all’età napoleonica e allo scoppiare dei moti rivoluzionari risorgimentali (cap. VII).
L’Epilogo, integrato al Prologo nell’ottica controcorrente della non linearità, prende la forma di un vero e proprio lascito testamentario in cui Mazzoni consegna alle generazioni di storici dello spettacolo presenti e future, o a ciò che ne rimane, un metodo di fare ricerca scrupoloso e insieme curioso, mai disgiunto da onestà intellettuale e da un rigore scientifico che è, prima di tutto, un dovere etico.
Data recensione: 13/11/2024
Testata Giornalistica: Drammaturgia.it
Autore: Gianluca Stefani