Luchino Visconti lo considerava un genio e fu uno dei suoi più appassionati collezionisti. L’occhio esperto del regista...
Dopo gli esordi influenzati dall’Art nouveau, l’eclettico artista
toscano si distinse per una produzione che agli echi rinascimentali accostava
una passione per Gustav Klimt e per l’esotico Oriente
Luchino Visconti lo considerava un genio e fu uno dei suoi più appassionati
collezionisti. L’occhio esperto del regista del Gattopardo non sbagliava: oggi
Galileo Chini (1873-1956) è considerato il pioniere del Liberty italiano e il
valore delle sue opere continua a salire. A 150 anni dalla nascita, è stato
celebrato con la monografia Galileo Chini. Un artista della ceramica tra la
Toscana e l’Europa, che documenta il progressivo passaggio dalle forme sinuose dell’Art
nouveau alle nuove istanze déco nelle opere di questo prodigioso artista dal talento
precocissimo.
Uno sguardo al Rinascimento
Era ancora uno studente dell’Accademia delle Belle arti di Firenze quando, nel
1896, fondò l’Arte della ceramica, la sua prima manifattura. Per firmare la
produzione aveva scelto come marchio il profilo di una melagrana con due mani
intrecciate, un simbolo ideale di fratellanza e concordia, in linea con i suoi
ideali. Proprio a quegli anni di giovanili sperimentazioni risalgono alcuni dei
pezzi più spettacolari, come il vaso con volti femminili del 1897, ingentilito da
un profilo di donna con i capelli biondi acconciati in una elaborata pettinatura,
fissata da un fermaglio che rimanda all’Art nouveau di derivazione
franco-belga. A quelle intriganti influenze straniere, Chini mescolava elementi
della cultura rinascimentale fiorentina, attingendo a piene mani dalle grazie
seducenti di Botticelli per creare volti femminili, come quello che appare sul
piatto con ninfa, satiro e pavone, databile attorno al 1900.
Influenzato da Morris & Co.
Quell’anno fu davvero sensazionale per la giovane manifattura toscana, che si
aggiudicò il Grand Prix d’Honneur all’Esposizione Universale, ottenendo una
visibilità senza precedenti su un palcoscenico internazionale. A Parigi, Chini
aveva presentato per la prima volta un motivo a puntini destinato a diventare
uno dei suoi leitmotiv decorativi, applicandolo al piatto con fiammelle, un pezzo
di grande successo caratterizzato da un decoro a fiamme su fondo giallo che
richiama le carte da parati e le stoffe di William Morris. Ispirato dal gusto
preraffaellita, iniziò a declinare su ogni tipo di superficie un lessico ornamentale
di derivazione anglosassone, fatto di melagrane, fiori e soprattutto pavoni, un
tema destinato a diventare emblematico nella produzione di Chini. Nel 1902 sarà
proprio quel motivo ornamentale a rendere celebre il vaso con pavoni e
melagrane presentato all’Esposizione internazionale d’arte decorativa di Torino,
il prototipo ideale di un soggetto che verrà riproposto con successo innumerevoli
volte, in forme sempre più stilizzate nel corso degli anni. Come nel vaso con
pavone del 1904- 1907, ennesima variazione sul tema, questa volta declinata su
un vaso a base quadrata, piuttosto insolito nella produzione di Chini. In linea
con il principio del Liberty secondo cui decorazione e struttura devono
coincidere, gli angoli del vaso si trasformano nel fusto di una pianta
palustre, mentre le foglie ricoprono gli spigoli superiori intorno all’apertura
e le volute si trasformano in sottili anse, pensate per facilitare la presa.
Nuovo inizio
A partire dal 1906, per Chini inizia una nuova stagione creativa che coincide
con l’apertura delle Fornaci San Lorenzo, nel Mugello, insieme al cugino Chino.
In omaggio alla località toscana, la produzione di quel periodo viene marchiata
con una piccola grata, simbolo del martirio del santo, accanto a un giglio
stilizzato. Ma ancor più della nuova manifattura, a segnare una svolta sarà
l’impatto delle opere di Gustav Klimt esposte alla Biennale di Venezia del
1910. Meno di un anno dopo, Chini iniziò a produrre pezzi straordinari, come il
vaso ovale con puntinatura, caratterizzato da una decorazione astratta, senza
alcuna concessione all’elemento naturale o figurativo, a favore di un’estetica
vicina alle opere del grande artista della Secessione austriaca. Alle
esuberanze decorative mitteleuropee si affiancarono ben presto anche
suggestioni orientali, di gran moda a quell’epoca, destinate ad attraversare con
successo i decenni, come testimonia il piatto con pesce databile attorno al
1930. Sul retro, infatti, riporta la scritta “anno VIII” secondo la notazione
fascista, un dato che indica come il motivo della carpa, utilizzato da Chini
già all’inizio del Novecento, sia sopravvissuto per decenni. Continuamente reinventato,
riflette la straordinaria esperienza in Oriente che Galileo visse tra il 1911 e
il 1913, nel cantiere della Sala del Trono del re del Siam. Fu un’impresa
trionfale che permise a Chini di ottenere nuovi incarichi prestigiosi, come la
realizzazione dell’intero apparato decorativo (maioliche, vetrate, pitture
murali, superfici musive, ferri battuti, arredi) dello stabilimento termale di
Salsomaggiore Terme, nel 1923, uno dei più affascinanti esempi del Déco
italiano. Del resto, era un artista eclettico che amava mettersi alla prova in
tutti gli ambiti, passando con disinvoltura dalla pittura su cavalletto alle
decorazioni architettoniche, dai vetri istoriati alla scenografia teatrale. Una
passione, quest’ultima, che lo portò a stringere un solido legame di
collaborazione con Giacomo Puccini, per il quale realizzò le scenografie di
Gianni Schicchi e Turandot. Come faceva con le ceramiche, lavorò mescolando
antico e nuovo, Occidente e Oriente, classico ed esotico. Fusi insieme con il
suo gusto ineguagliabile.
Data recensione: 01/02/2024
Testata Giornalistica: Antiquariato
Autore: Chiara Pasqualetti