C’è il mondo che crediamo di conoscere e c’è un universo parallelo celato nelle spire della quotidianità dove può capitare
C’è il mondo che crediamo di conoscere e c’è un universo
parallelo celato nelle spire della quotidianità dove può capitare di scoprire
che parenti, vicini di casa o amici sono agenti segreti, dove la realtà diventa
un intreccio di meccanismi solo apparentemente ordinari, in un gioco di ruoli
nel quale ogni certezza, improvvisamente, può crollare. Kim Philby (1912-1988)
di quell’universo è stato un protagonista assoluto. Vero nome, Harold Adrian
Russell Philby, origini altoborghesi, ufficialmente agente segreto britannico,
in realtà una spia al servizio dell’Unione Sovietica, dalla quale acquisì la
cittadinanza nel 1963.
Stiamo parlando di una delle più celebri spie del Novecento: su di lui sono
stati scritti articoli e saggi, la sua figura ha ispirato romanzi e film e, di
recente, la serie A Spy Among Friends,
Una spia tra noi (Sky e NOW), con Damian Lewis e Guy Pearce (nei panni di
Philby). Comunista, fu da sempre alle dipendenze dell’Unione Sovietica, prima
al Servizio del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (la polizia
segreta), poi del KGB, pur appartenendo al Military
Intelligence (i servizi segreti inglesi) e al corpo diplomatico del Regno
Unito. Dal 1936 al 1963 condusse un abile lavoro da doppiogiochista. E pensare
che nel 1945 la Regina Elisabetta II gli conferì l’Ordine dell’Impero
Britannico. Nel dopoguerra, per due anni, fu a capo della sezione controspionaggio
R5 del Secret Intelligence Service (SIS). Venne poi trasferito come capo della
stazione MI6 in Turchia e, in seguito, ufficiale di collegamento per
l’intelligence SIS presso l’Ambasciata britannica a Washington. In questa veste
riuscì a compromettere un programma di attività congiunte paramilitari fra
Stati Uniti e Gran Bretagna.
Dal 1963, anno della sua defezione e della fuga a Mosca, fino alla morte nel
1988, visse in Unione Sovietica dove lavorò per il KGB come istruttore. A
gettare nuova luce sul ruolo ambiguo, contraddittorio e mai davvero svelato
dell’agente segreto, è Vita di Kim Philby, la talpa (Mauro Pagliai Editore),
l’ultimo libro di Francesco Bigazzi, giornalista e saggista, direttore
dell’agenzia Ansa a Mosca fino al 1991, considerato uno dei massimi esperti
italiani di storia e cultura russa.
In questo libro, la protagonista è la moglie Rufina Ivanovna Puchova, che in
una toccante intervista rilasciata al giornalista negli anni Novanta rivelò
dettagli mai emersi prima, aprendo uno spiraglio di verità sull’intensità del
dramma vissuto dal marito, sui tanti pericoli affrontati, sulla loro tormentata
vita insieme. In seguito agli ultimi casi eclatanti di spionaggio e alle note
vicende di personaggi quali Assange e Snowden , Bigazzi ha deciso di pubblicare
integralmente l’intervista per raccontare attraverso le parole e le memorie
della moglie la vita di Kim, e per provare a rispondere ad alcune delle tante
domande che si sono fatte negli anni sulla sua figura: eroe o traditore?
Il punto di vista è quello della donna che gli è stata accanto nei momenti
peggiori, da cui emerge un ritratto tutt’altro che celebrativo di Philby. Rufina
era la quarta moglie, elegante e pacata come una lady inglese, guidata dal
coraggio di raccontare una vita grama, fatta di mancanze, rinunce, e la lotta
costante al terzo incomodo che scaldava le fredde sere russe di Philby,
l’alcol. Kim aveva 20 anni più di lei, lo sposò nel 1973, quando lui aveva 59
anni e lei 38. Dopo la sua morte nel 1988, Rufina si era ritirata nell’ombra
del silenzio, fino ad aprire pubblicamente i suoi ricordi con l’era della
Perestrojka. Rufa come la chiamava Kim non aveva mai perso di vista la
complessità di quel rapporto che definisce «diciotto anni di lunga, dolce
solitudine».
Era una donna che si ribellava apertamente ai detrattori del marito con il
quale aveva trascorso il tempo in un appartamento di un anonimo edificio
stalinista nel centro di Mosca, il loro nido, “il nostro bene più caro” come lo
definisce la stessa Rufina, nel quale Kim aveva cercato di ricreare con i libri
e gli oggetti l’atmosfera della sua amata Inghilterra, con un sentimento di
nostalgia che rievocava ogni giorno grazie alla Bbc in televisione e al tè
sorseggiato in salotto.
Rufina per la prima volta decideva di aprire la porta della sua casa per
difendere disperatamente, con grande dolcezza e intelligenza, “un uomo vittima
del suo tempo”. Erano gli anni in cui l’Unione Sovietica sembrava ormai un
brutto ricordo e l’attenzione del mondo era rivolta verso la Nuova Russia.
«Sulla figura di mio marito è stata detta una quantità di menzogne
inimmaginabili, parlerò soltanto di ciò che ho visto con i miei occhi». Chiara,
corretta, preparata, Rufina pesava ogni parola, in uno sfogo che raccontava
apertamente il dramma di un uomo fino a renderlo così umano come lo era stato
il fallimento della sua utopia.
Quando si conobbero Philby era già una leggendaria spia sovietica, cui Stalin
aveva conferito l’Ordine della Bandiera Rossa. Rufina racconta di come aveva
condiviso gli alti e bassi, i privilegi e le rinunce, i momenti esaltanti e
quelli di sconforto. Nella loro storia d’amore Kim e Rufa erano riusciti a
trovare una via di fuga da un tragico destino, quello che accumunava molti dei
colleghi che dopo aver scelto l’Unione Sovietica, non ci misero molto a capire
di trovarsi in una realtà molto diversa da quella che si aspettavano.
Kim non fu mai a suo agio in URSS, dovette adattarsi e superare le difficoltà
quotidiane. L’incontro con Rufina ebbe il merito di riconciliarlo con la realtà
circostante, lei era onnipresente, affettuosa e fiera di come fosse riuscita a
trasformare quell’uomo in un individuo più umano, nonostante dovesse misurarsi
con il suo tormento interiore.
«Posso dire con certezza, come lui stesso mi ha confidato più di una volta, che
nel suo mestiere la cosa più difficile era proprio vivere una doppia vita» A
quei tempi non si trattava solo di spionaggio, si trattava di credere in certi
ideali e provare a realizzarli. Erano uomini di coraggio, che avevano lo
slancio di cambiare la loro vita e trasformarsi in personaggi come fossero
maschere di un teatro, solo per una causa ideologica. Eroe o traditore, quindi?
Chi può davvero dirlo, a Londra Philby fu condannato ed esecrato come un
traditore. In Russia è ufficialmente considerato un eroe. Non potremmo mai
avere una risposta certa in una realtà dove tutte le convinzioni sono labili,
tranne una, come afferma Rufina,: «Kim è stato un grande idealista. Sarà la
storia a rendergli giustizia».
Data recensione: 27/07/2023
Testata Giornalistica: Il Buongiorno
Autore: Alessandra Abramo