All’alba del 24 febbraio 2022 le forze armate russe davano il via ad un’offensiva sul territorio ucraino. Definita dal presidente russo
All’alba del 24 febbraio 2022 le forze armate russe davano
il via ad un’offensiva sul territorio ucraino. Definita dal presidente russo
Vladimir Putin “operazione militare speciale”, si rivelava invece guerra aperta
e durissima, che ha superato da poco i cinquecento giorni, con una pace che
sembra lontana.
Il processo tanto sperato di riconciliazione passa attraverso ragioni
politiche, storiche, ma anche religiose, con il tentativo di raggiungere un
avvicinamento tra le due Chiese, ortodossa e cattolica. La frattura tra le due
Chiese esiste tuttora; anzi, si è manifestata ancor di più con il protrarsi del
conflitto nonostante qualche riavvicinamento in tempi recenti avesse fatto
pensare ad un filo che potesse legare l’Occidente con Mosca; basti pensare allo
storico incontro tra Papa Francesco e il patriarca Kyryll (capo della Chiesa
ortodossa russa, che conta 165 milioni di fedeli sparsi per il mondo) a Cuba
nel 2016. È una questione antica e complessa quella che delinea i rapporti tra
Europa e Russia, e in più in generale tra Oriente e Occidente, ma più che mai
attuale nel dibattito pubblico odierno. Il saggio scritto dallo storico
dell’arte Roberto Lunardi Da Firenze e
Venezia (edizioni Mauro Pagliai) racconta quanto profonde siano le radici
del conflitto in Ucraina e al tempo stesso quanto la Russia sia da sempre parte
fondamentale dell’Europa. Lo fa attraverso due importanti documenti: il decreto
di unione dei Greci con la Chiesa di Roma del 1439 (il Concilio di Firenze) e
il lascito di Bessarione a Venezia. L’analisi di Lunardi si sofferma in
particolare su due città, Firenze e Venezia, che per motivi diversi hanno
svolto un ruolo chiave nei rapporti tra Oriente e Occidente.
«Nella primavera dello scorso anno stavo studiando i tessuti pregiati
utilizzati per l’apparato e per le vesti liturgiche in Santa Maria del Fiore
nel 1439; proprio l’anno in cui si concluse il Concilio di Firenze, con il
quale fu proclamata la riunificazione dei cristiani della Chiesa cattolica
occidentale con quelli della Chiesa ortodossa orientale – racconta Roberto
Lunardi – . In quei giorni le forze armate della Federazione russa cominciarono
a invadere il territorio ucraino esasperando il conflitto già in atto tra i due
governi fino dal 2014 e così accantonai quanto stavo indagando e cominciai a
cercare di capire le ragioni lontane di quel tragico evento». Il Concilio
fiorentino che si svolse nella chiesa di Santa Maria Novella nel luglio del
1439, doveva ratificare la riunificazione della cristianità, impresa tanto più
difficile in quel periodo in cui alle lacerazioni antiche se ne erano aggiunte
di nuove, sullo sfondo minaccioso e pressante, inoltre, dell’avanzata turca. Il
Concilio ospitò a Firenze oltre al Papa Eugenio IV, l’Imperatore Giovanni VIII
Paleologo e il Patriarca di Costantinopoli Giuseppe II (che vi morì), un folto
pubblico di ecclesiastici di entrambe le parti provenienti da diversi Paesi, e
proclamò con la sottoscrizione della bolla Laetentur
caeli, letteralmente che i cieli si
rallegrino (l’originale è conservato nella Biblioteca Laurenziana a
Firenze) l’unione fra la chiesa greca e quella latina che metteva fine alla
separazione del 1054, lo Scisma d’Oriente. Con il riconoscimento, dopo
difficili trattative, da parte degli orientali del Vescovo di Roma come vicario
di Cristo, capo unico della Chiesa, quindi padre e maestro di tutti i
cristiani.
Un evento eccezionale che rendeva pubblica la ricomposizione di un conflitto
dogmatico, ma anche politico, che aveva diviso le Chiese latina e ortodossa per
secoli. Dogmatico perché investiva argomenti vari, tra i quali l’aggiunta nel
Credo del filioque (e dal figlio) che riguardava una
differenza più letterale che sostanziale nella definizione dello Spirito Santo
non prevista per gli ortodossi, il primato del Papa di Roma su tutta la
cristianità, e la dottrina del Purgatorio riconosciuta solo dai cattolici (i
Greci ammettevano un periodo di espiazione dopo la morte, ma rifuggivano
dall’ammettere che si facesse con la pena del fuoco).
Politico perché queste stesse questioni comportavano conseguenze di grande
rilievo nella affermazione delle massime cariche ecclesiastiche di entrambe le
Chiese, con esiti economici e di potere non indifferenti. In realtà l’accordo
continuò a vivere soltanto sulla carta perché i patriarchi bizantini, dopo aver
fatto ritorno in patria, ritirarono il loro supporto alla riconciliazione a
causa del malcontento della popolazione nei confronti di quel documento, tanto
che in molti lo giudicarono un tradimento della fede ortodossa. L’unione
raggiunta dal Concilio, comunque, durò di fatto fino alla presa di
Costantinopoli (29 maggio 1453), e fu poi ufficialmente dichiarata rotta da un
Concilio della chiesa greca a Costantinopoli nel 1472. L’importanza di questo
avvenimento andò ben oltre la dimensione politica ed ecclesiastica, dal momento
che la presenza di illustri intellettuali bizantini (fra i quali ricordiamo
Bassilio Bessarione e Isidoro metropolita di Kiev) con la messe di codici di
autori greci che recarono con sé, avviò quel processo di riscoperta della
cultura e della lingua elleniche che portò Firenze ad essere il centro di un
nuovo impulso agli studi umanistici che condurrà poi al Rinascimento. L’evento
fu ricco di aneddoti di costume e incontri tra le due culture, tra le
differenze teologiche da colmare alle polemiche sul Filioque o sull’uso del pane azimo, si passò dal sacro al profano
attribuendo la traduzione in “arista” dell’esclamazione di Basilio Bessarione
in merito al lombo di maiale arrosto: Aristos!
(il migliore, in greco).
Come Firenze anche Venezia, come spiega Lunardi, svolse un ruolo chiave grazie
al lascito del Cardinale Bessarione, il quale, tra i principali promotori del
Concilio di Firenze fu raccoglitore di codici greci da sempre ricercati, tanto
da costituirne una ricchissima collezione acquistandone nei paesi occidentali dove
era stato in missione apostolica per la Santa Sede, e poi nelle terre
orientali, allo scopo di sottrarli alla dispersione e, peggio ancora, alla
distruzione ad opera degli Ottomani. Come spiega Lunardi nel saggio: «Voleva a
tutti i costi salvare la tradizione greca, soprattutto dopo la caduta di
Costantinopoli, e aveva considerato che Venezia ne potesse essere il giusto
collocamento, visto che poteva essere raggiunta via mare. Dall’inventario
dell’epoca ricaviamo che aveva recuperato 482 manoscritti greci e 264 latini.
La Biblioteca nazionale Marciana ne è l’erede e così Venezia va considerata
centro ineguagliabile per lo studio dei classici greci».
Venezia, negli intenti del Bessarione, avrebbe dovuto costituire il baluardo
contro i Turchi, un porto sicuro per quel mondo bizantino del quale si sentiva
erede, mentre auspicava che divenisse anche luogo di incontro e di dialogo tra
le culture, un sogno che ha quindi origini lontane come lontane sembrano le
possibilità di poterlo realizzare.
Data recensione: 27/07/2023
Testata Giornalistica: Il Buongiorno
Autore: Alessandra Abramo