È un grande merito del volume di Massimo De Giuseppe ripercorrere il profilo internazionale
È un grande merito del volume di Massimo De Giuseppe
ripercorrere il profilo internazionale e transnazionale dell’azione di Giorgio
La Pira nell’ultimo scorcio della sua vita, quello meno indagato dalla
storiografia, che si è soffermata con grande attenzione sulle stagioni
precedenti del suo lungo cursus honorum, quelle che videro il professore di
diritto, siciliano d’origine ma fiorentino d’adozione, nella veste di padre
costituente, deputato, sottosegretario al Ministero del lavoro con Fanfani,
sindaco del capoluogo toscano, di nuovo deputato e ancora sindaco.
Giunto alla guida della Federazione delle città gemellate nel 1967, passaggio conclusivo
di un itinerario per molti versi – nelle parole dell’autore – «inevitabile», La
Pira portava con sé l’imponente bagaglio della sua articolata biografia e il
lascito di esperienze che fino a quel momento, pur mantenendo intima coerenza e
unità di intenti, si erano dipanate su una moltitudine di terreni. E che, nel
loro insieme, erano tasselli di un’azione per la pace energica e costruttiva,
illuminata come era dalla fede – che consentiva di arricchire di contenuti
simbolici e metafisici visioni e prospettive – e sempre orientata nel senso di
una concretezza di strumenti e orizzonti – che spingeva a leggere con lucidità
gli eventi e a indirizzarne con pragmatismo gli sviluppi.
L’approdo alla guida della Federazione Mondiale delle Città Unite (cambiamento di
nome promosso durante la presidenza di La Pira e non privo di rilevanza politica,
nel suo esplicito richiamo agli istituti societari) avveniva in una fase in cui
il professore siciliano, terminato l’ultimo mandato di sindaco di Firenze,
viveva un crescente senso di solitudine in patria a cui era parallelo un
vigoroso potenziamento della sua statura internazionale. La tessitura di legami
sempre più stretti (e sempre più arditi) fra le città – sulla base di una
ispirazione che datava almeno dal discorso di Ginevra del 1954, quando,
nell’esporre la “tesi fiorentina”, l’allora sindaco del capoluogo toscano aveva
fatto delle città l’architrave di una precisa proposta politica – divenne lo
strumento privilegiato di una diplomazia che aggirava e superava gli ostacoli
dei rapporti inter-statuali con lo slancio consentito da una maggiore agilità di
movimento, dalla flessibilità e duttilità dei mezzi e, in La Pira,
dall’ottimismo generato da una fede che si faceva incrollabile fiducia
nell’avvenire.
Una innovazione di temi e utensili “diplomatici” era per molti aspetti
necessaria, alla luce della imponente trasformazione del linguaggio
internazionale. Quando La Pira giunse alla presidenza della FMCU, i segnali
anticipatori di un cambiamento strutturale del sistema internazionale erano
talmente importanti da essere impossibili da ignorare. L’emergere prepotente
del tema dello sviluppo; lo stravolgimento dei valori che guidò il movimento
del Sessantotto; il venir meno delle garanzie di infinita crescita e galoppante
prosperità promesse dai “trente glorieuses”; l’indebolirsi e l’appannarsi del
modello occidentale; i chiaroscuri di un rapporto bipolare che pareva segnare
la resa del mondo atlantico alle pretese sovietiche; una distensione dagli
ambigui sviluppi: tutto si teneva in una crisi che, tra la fine degli anni
Sessanta e la prima metà degli anni Settanta – il segmento temporale che vide
La Pira alla presidenza della FMCU – segnava la fine di una fase omogenea della
vita internazionale e l’avvio di un’altra dagli incerti profili. Il volume
aiuta molto a capire quanto il professore siciliano comprendesse la portata
dell’evoluzione che stava avvenendo sotto i suoi occhi. Dall’importanza del
protagonismo delle giovani generazioni (tema non nuovo nel pensiero di La Pira
ma che acquisiva una inedita e innegabile centralità con una contestazione che
dilagava su scala planetaria), all’ingresso del mondo extraeuropeo nelle
dinamiche mondiali, agli effetti della crescente diffusione della televisione
come veicolo di formazione e informazione. Nella sua declinazione in proposta
operativa, l’inscindibile dittico di dialogo e pace, che da sempre guidava l’azione
di La Pira, doveva essere ripensato alla luce delle tante novità. E la FMCU poteva
divenire, e divenne, sotto la sua presidenza, un attore efficace in quella
direzione, con il porre i gemellaggi al servizio di una politica che creava
ponti lungo le linee di faglia del sistema globale: fra Est e Ovest, fra Nord e
Sud.
Non sempre e non tutto con facilità, dei progetti di La Pira, fu realizzato.
Difficoltà e inciampi, anche di bassa lega, non mancarono. Il racconto di
Massimo De Giuseppe li indica con puntualità. Né l’autore si sottrae alla sfida
di intrecciare la dimensione internazionale dell’azione di La Pira alla guida
della FMCU con il piano nazionale, anche a livello locale, una commistione
ricostruita attraverso i suoi carteggi con gli interlocutori italiani, da Moro,
a Fanfani, ai tanti amministratori locali.
Molti piani sono quindi tenuti insieme nel volume di Massimo De Giuseppe, che
riesce a dosare con eleganza la narrazione degli eventi e la loro
interpretazione storiografica, poggiando la sua ricostruzione su una base
documentaria ricchissima e prevalentemente di prima mano che dialoga con
scioltezza e leggerezza di stile con un solido apparato bibliografico.
Data recensione: 01/10/2022
Testata Giornalistica: Nuova Antologia
Autore: Bruna Bagnato