La Divina Commedia non si studia solo sui libri: magari s’impara ascoltando le letture di Vittorio Gassmann o di Roberto Benigni.
La Divina Commedia non si studia solo
sui libri: magari s’impara ascoltando le letture di Vittorio Gassmann o di
Roberto Benigni. Allo stesso modo, nel passato, questi versi immortali erano tramandati
da bardi, trovatori e poeti popolari. Ce lo spiega lo studioso di folklore
Alessandro Bencistà nel suo saggio La
memoria di Dante nell’arte dei cantastorie (Sarnus). I cantastorie sono
stati tra i più appassionati cultori e divulgatori di Dante Alighieri: è grazie
a loro se le rime del Divin Poeta sono giunte fino a noi, arrivando anche a un
pubblico che non aveva potuto apprendere la poesia nelle aule scolastiche e
nelle accademie, «formandosi» semmai nelle botteghe delle città o dei villaggi.
«Dove il libro non è mai arrivato», spiega Bencistà, «lo ha fatto la parola
cantata e recitata: è così che le grandi storie hanno messo radici profonde».
Partendo dal fiorentino Antonio Pucci, che nel Trecento dedicò splendide
terzine dantesche all’alluvione dell’Arno del 1333, il testo rende omaggio ai
più celebri cantori della Commedia nel corso dei secoli, arrivando fino
all’epoca dei primi dischi in vinile e all’arrivo del VHS. Sono poi riportati
per intero i testi di alcuni dei poemetti più celebri, come la storia di Pia
de’ Tolomei pubblicata nel 1822 da Bartolomeo Sestini, una composizione che in
tempi recenti ha ispirato la cantautrice Gianna Nannini.
Data recensione: 26/06/2022
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: ––