Quanti appellativi, tutti appropriati, hanno accompagnato la vita di don Renzo Rossi (1925-2013), sacerdote fiorentino sempre accanto agli ultimi.
Quanti
appellativi, tutti appropriati, hanno accompagnato la vita di don
Renzo Rossi (1925-2013), sacerdote fiorentino sempre accanto agli
ultimi. Il prete-giramondo che per vent’anni, fedele interprete del
Vangelo, tra il 1965 e il 1989 ha esportato la sua vocazione
missionaria nelle favelas e a sostegno dei detenuti politici del
Brasile, proiettandola poi – una volta rientrato a Firenze –
anche in Mozambico, Terra Santa e India.
Il cappellano di
fabbrica che, mentre svolgeva le sue prime esperienze pastorali nelle
parrocchie periferiche della diocesi, sulle orme di don Borghi, don
Fanfani e don Rosadoni incominciò ad assistere i lavoratori del Gas
di Rifredi, quelli delle Ferrovie di Porta a Prato e della Fiat,
negli anni carichi di tensioni sociali in cui il sindaco Giorgio La
Pira riuscì comunque a salvare il Nuovo Pignone e la Galileo. Il
prete-ciclista (grande fan di Gino Bartali) che con la sua bici ha
sfrecciato fin che ha potuto per le vie fiorentine. Il prete
appassionato pure di calcio (è stato cappellano della Fiorentina),
affascinato da Pelè e dal Maracanà, e che custodiva come un tesoro
la maglia azzurra di «Pablito» Rossi, portatagli in dono a Salvador
Bahia dal cardinale Giovanni Benelli e da don Ajmo Petracchi appena
conclusi i mondiali del 1982 in Spagna, vinti dall’Italia. Un prete
amante ancor più del cinema e della musica classica, che quando
poteva la ascoltava dal vivo in teatro o altrimenti alla radio o con
il giradischi.
Ma don Renzo è stato soprattutto un presbitero
fedele alla Chiesa per la quale, diceva, «ho cercato di dare tutto
me stesso, la mia pochezza, la mia bischeraggine, il mio modo di
essere». «Gioioso e obbediente», nel ricordo del suo ultimo
vescovo: «Ho una grande ammirazione per questo piccolo prete, che
per me rappresentava una sintesi del meglio del clero fiorentino
sbocciato dall’eredità del ministero episcopale del venerabile
Elia Dalla Costa: tanta fede, intelligenza vivace, apertura verso
tutti, servizio generoso, coraggio apostolico». Sono le parole
scolpite nella prefazione che il cardinale Giuseppe Betori ha scritto
per il libro di Andrea Fagioli (Edizioni Sarnus) che supporterà la
mostra fotografica «Don Renzo Rossi, prete di Firenze, cittadino
del mondo. Viaggio fotografico di una vita sulle strade degli ultimi,
dalle periferie fiorentine alle favelas brasiliane»,
allestita dal 19 marzo al 3 aprile nel Chiostro grande della basilica
della Santissima Annunziata. Parole che richiamano quelle
fraternamente pronunciate dal card. Silvano Piovanelli il giorno
delle esequie, il 27 marzo 2013: «Tu non hai mai rotto con nessuno,
e hai saputo pazientare con l’apertura di ascoltare tutti, anche i
ribelli e i contestatori, ma sempre con la fedeltà più rigorosa
alla Chiesa fiorentina e ai suoi arcivescovi».
Quello composto
da Fagioli (già direttore e tuttora collaboratore di «Toscana Oggi»
nonché autorevole critico televisivo di «Avvenire») è il ritratto
più completo di don Rossi che finora abbiamo potuto leggere. Una
narrazione che passa dalle sue stesse parole, accuratamente raccolta
per una vita in 750 «quaderni». Un sorprendente e inesauribile
diario lungo settant’anni, custodito almeno 30 mila fotografie
dall’Associazione degli Archivi di cristiani nella Toscana del
Novecento (Arcton) presieduta da Piero Meucci, che con la Fondazione
La Pira ha appunto organizzato la mostra. Attraverso i fatti
autobiografici e le notazioni di don Renzo ripercorriamo momenti
significativi della storia della Chiesa fiorentina dal 1943 fino al
2012.
Data recensione: 13/03/2022
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Antonio Lovascio