Con questo libro, frutto di pazienti ricerche sul campo e penetranti indagini in archivio, Monica Cardarelli compie un atto
Un nuovo studio su Luigi Sabatelli ricostruisce in
particolare la travagliata vicenda della Sala dell’Iliade di Palazzo Pitti
Con questo libro, frutto di pazienti ricerche sul campo e penetranti indagini in
archivio, Monica Cardarelli compie un atto di riparazione storiografica,
ricollocando finalmente Luigi Sabatelli, come dichiara autorevolmente Fernando
Mazzocca che ne firma l’introduzione, «tra i grandi protagonisti della cultura
figurativa italiana tra Neoclassicismo e Romanticismo». Di umili origini, Luigi
nasce a Firenze da una coppia di domestici del marchese Pier R. Capponi, che ne
asseconda l’inclinazione artistica facendolo addestrare al disegno e al bulino,
per poi iscriverlo ai corsi dell’Accademia di Belle Arti. Qui il ragazzo
primeggia nei concorsi di fine anno guadagnandosi il premio finale di un lungo
soggiorno di perfezionamento nella capitale pontificia. Nella Roma in cui il
diciassettenne Luigi approda nel 1789, con in tasca una raccomandazione al
cavaliere pistoiese Tommaso Puccini (grande conoscitore d’arte, che gli farà da
mentore aprendogli le porte dei maggiori cenacoli artistici), risuona ancora
l’eco dell’esposizione degli «Orazi» di David e Canova domina la scena in campo
scultoreo. Grazie all’amicizia con il patrizio novarese Damiano Pernati, Sabatelli
pubblicherà un album di suoi disegni dal vero e d’invenzione, incisi da Pernati
all’acquaforte, dal titolo non casuale di «Pensieri diversi». Accademia dei
Pensieri era infatti il nome delle riunioni serali nelle quali Felice Giani
proponeva ad allievi e giovani colleghi, tra i quali Sabatelli, temi scelti dall’Antico
o dalla Commedia dantesca, con cui sfidarsi in abbozzi all’impronta. L’altra
palestra in cui si tempra il talento grafico del giovane fiorentino è la scuola
privata di nudo tenuta da Domenico Corvi, dove spetta a Leopoldo Cicognara la
scelta dei temi. I capolavori antichi e vaticani, David e Canova sono i modelli
ineludibili, ma Luigi, nel solco di Giani, s’ispira anche all’immaginario
sublime di artisti nordici della generazione precedente, come Füssli,
Abildgaard e Carstens. Terminata nel ’94 l’esperienza romana, Sabatelli va a
completare la sua formazione a Venezia per assimilare i segreti cromatici della
scuola lagunare: un soggiorno proficuo ma interrotto dalla notizia della morte
del padre. Tornato in patria, Luigi comincia così una carriera in cui la
pratica del disegno e dell’incisione procede in parallelo con quella della
pittura a olio, la cui primizia, eseguita per Puccini, è il capolavoro «Radamisto
in atto di uccidere Zenobia ». La Cardarelli trascorre veloce su quanto ha già
ricevuto una pionieristica riabilitazione critica da Del Bravo (1978) e
dall’esemplare saggio di Spalletti sulla Pittura dell’800 in Toscana (1991),
per documentare con ricerche inedite e una preziosa campagna fotografica i
misconosciuti prodigi del filone nuovissimo della pittura a buon fresco, medium
congeniale al talento di Sabatelli di esecutore all’impronta. Il felice esordio
in Palazzo Gerini funge da passaparola tra la nobiltà fiorentina, che se ne
contende i servigi per decorare palazzi di città e ville nel contado, con
soggetti profani, cui si aggiungono quelli religiosi in conventi e cappelle
gentilizie. Finché, in una Toscana che Bonaparte ha ribattezzato Regno
d’Etruria sostituendo ai Lorena i Borbone di Parma, Luigi è chiamato dalla
regina reggente Maria Luisa ad affrescare a Boboli, nella Palazzina della Meridiana,
un «Sogno di Salomone» in funzione di auspicio per il futuro regno del
principino Carlo Ludovico. Per l’astro nascente Sabatelli si profila l’ambita
nomina a pittore di camera della regina e una cattedra di pittura all’Accademia
di Firenze, ma poiché Pietro Benvenuti non tollera rivali in Toscana, Cicognara
briga per procurare a Luigi una cattedra altrove, ricerca che si concluderà nel
novembre 1808: succedere a Brera al conterraneo Giuliano Traballesi.
L’insegnamento a Milano non impedirà a Sabatelli di dedicarsi alla serie di acqueforti
con «Visioni dell’Apocalisse» (1810-11) e ad affrescare a Novara una cappella
in San Gaudenzio. Ma Sabatelli anela da tempo a misurarsi in patria con gli
affreschi di Pietro da Cortona a Palazzo Pitti e l’opportunità è offerta dalla
necessità di ridecorare una sala che conclude le stanze cortonesche. La serie
di ribaltoni causati dalle vicende napoleoniche genererà però rinvii a catena:
il ciclo tratto dall’Iliade con cui Sabatelli potrà finalmente affrescare la
sala nel 1820-25, segnerà il culmine della sua ascesa e l’inizio di una tenace sfortuna
critica. Il racconto delle peripezie di quest’impresa costituisce il clou del
libro, magnificamente illustrato e abilmente sceneggiato dall’autrice grazie al
nutrito carteggio tra l’artista e i diversi responsabili del progetto.
Concepita nel 1807 per i Borbone come un fregio che avrebbe dovuto celebrare «I
fasti di Amerigo Vespucci», l’impresa subisce un netto cambio di programma
quando Bonaparte congeda i Borbone e restaura il Granducato, affidandolo alla
sorella Elisa Baciocchi. La decorazione della sala, ribattezzata Cabinet
topographique, dovrà celebrare Napoleone: non più un «Trionfo di Aureliano su
Zenobia » ma, decisione del 1812, di «Giulio Cesare reduce dalle vittorie in
Africa». Due anni dopo se ne va la Baciocchi e tornano gli Asburgo Lorena i
quali, dopo qualche indugio, si risolvono a dar corso ai progetti già
predisposti per Pitti, salvo chiedere di «denapoleonizzarne » i cicli più
espliciti, come quello del Cabinet topographique. Giuseppe Cacialli, architetto
e regista dell’intera impresa, ricicla a tale scopo un tema tratto dall’Iliade.
Nel grande medaglione centrale del soffitto prenderà posto un Olimpo, in cui
troneggia Giove, che ha convocato un concilio per esigere che gli dèi siano
neutrali nei confronti delle opposte schiere che si fronteggiano davati alle
mura di Troia. Nelle otto lunette si snoderà a puntate il romanzo erotico-epico
degli intrighi orditi da Giunone, con la complicità di Venere e del Sonno, per
adescare Giove, facendolo piombare addormentato. Così Nettuno ne approfitterà
per spalleggiare Aiace in battaglia e Apollo gli si opporrà volando a risanare
Ettore e ad agevolare l’incendio delle navi greche. Con il nuovo programma il
compito di Sabatelli si è ampliato notevolmente: scelto un sostituto per la
cattedra a Brera, nel ’19 il pittore si trasferisce a Firenze e si concentra
nell’impresa. Per completarla non gli basterà un lustro. Né sarà meno laboriosa
la fase esecutiva, in cui rifulge una tavolozza che mostra come la lezione
veneta abbia ceduto il passo all’emulazione dei grandi toscani seicenteschi con
esiti originali. Nella miglior tradizione dei contrasti tra iconologi invadenti
e artisti che rivendicano libertà d’azione, Sabatelli evade dalla gabbia di
prescrizioni ordita da Cacialli, andando a pescare nell’Orlando furioso spunti
di erotismo e realismo per la lunetta con la «Visita di Giunone nella Grotta
del Sonno», dove l’Ozio è un nudo e scarmigliato grassone. Non resta che dar
conto della conclusione, senza lieto fine, condensata nel capitolo sulla
«Sfortuna critica della Sala». Sabatelli completa il lavoro nella prima metà
del ’25 (l’ultima lunetta è affidata al figlio Francesco, che ricalca fedelmente
le orme del padre). Al lauto compenso di cinquemila zecchini, il granduca fa
aggiungere una ricca tabacchiera con il proprio ritratto e 100 zecchini per il
promettente Francesco (che morirà a 26 anni), ma il pittore attende con ansia
il verdetto della critica. La prima recensione esce già nell’estate, ma sorprendentemente
sulla rivista romana il «Giornale Arcadico» a firma di un erudito che ne
approfitta per sfoggiare tutta la propria competenza iconologico-letteraria limitandosi
a rituali complimenti sulla qualità degli affreschi. Poi un lungo silenzio. La
doccia fredda arriverà nel ’27, a Firenze, sull’autorevolissima «Antologia »,
con un articolo anonimo, dietro al quale si cela un suo antico ammiratore, Cicognara,
che declina al passato i meriti del pittore come frescante, criticandone aspramente
l’Olimpo, «macchina immensa e agglomerata di personaggi d’ogni età e sesso»,
cui rimprovera la mancata scalatura prospettica e atmosferica. A stretto giro, la
stroncatura verrà rintuzzata punto per punto da un articolo sull’«Antologia»,
firmato da uno stretto seguace di Sabatelli, con argomenti che forse sono
direttamente dettati dal maestro. Ma la verità è che ormai sta per entrare in
scena un nuovo protagonista, che appartiene a una generazione più giovane: Francesco
Hayez.
Sarà Giuseppe Mazzini, dalla Londra in cui tesse la tela dei moti
risorgimentali, a inquadrare storicamente l’intera vicenda nello straordinario saggio La peinture moderne en Italie
(1841). Il suo eroe è Hayez, che con il Romanticismo storico allinea la pittura
italiana all’avanguardia artistica europea. Al Neoclassicismo dei Benvenuti e
degli Appiani va l’onore delle armi che si tributa a un passato in via di
estinzione, mentre a Sabatelli, che Mazzini mostra di conoscere perfettamente, spetta
il lusinghiero riconoscimento di un ruolo di precursore: «Un Mosè che
presagisce la Terra promessa, ma non può entrarvi».
Data recensione: 01/07/2021
Testata Giornalistica: Il Giornale dell’Arte
Autore: Antonio Pinelli