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Dimenticate il termine boccaccesco, da sempre usato senza risparmio per definire la sintesi ideale della volgarità riferita al sesso.

Dimenticate il termine boccaccesco, da sempre usato senza risparmio per definire la sintesi ideale della volgarità riferita al sesso. Ebbene, cancellate tutto, perché, incredibile ma vero, Giovanni Boccaccio, l’autore del Decamerone, colui che adunava fanciulle e giovanotti a discettare di maliziosi amori, passioni e tradimenti per scrivere novelle capolavoro al tempo della peste di Firenze, nel 1348, non fu quell’autore libertino e dissacrante, che escludeva Dio, che abbiamo “storicizzato” dai tempi di scuola. Al contrario, con la sua opera ha voluto compiere un’operazione che si potrebbe definire di tipo pastorale: insegnare a uomini e donne come ci si deve comportare al meglio nella vita per identificare le differenze tra il bene e il male, e quindi scegliere nel modo migliore. E, ancora, da quelle “incriminate” novelle emerge quanto siano ricorrenti le “implicazioni” con le più importanti discussioni teologiche. È quanto sostiene Antonio Fatigati nel suo saggio «Boccaccio teologo» (Mauro Pagliai editore, pag. 128, euro 13). E non si tratta di uno studioso che lancia teorie a caso, tanto per fare scalpore nel panorama letterario: è diacono permanente della Diocesi di Milano, e conseguì il dottorato il Teologia - Studi biblici con una tesi dedicata proprio a Giovanni Boccaccio.
Lo studioso sostiene che le vicende narrate del Decameron sono espressione di una profonda riflessione religiosa, insieme con Francesco Petrarca è il maggior esponente degli autori eredi di Dante, che considerava la poesia e la teologia una sola cosa. Aggiunge che la poesia agisce come lo Spirito Santo, che non svela immediatamente le verità celate e il loro valore, onde costringere i lettori ad impegnare al massimo tutto l’intelletto per comprenderle. Particolare l’attenzione che viene rivolta all’amore (non soltanto Fiammetta), riferito allo sguardo che Dio dedica a tutti gli uomini. Il suo Decamerone era rivolto a tutti gli afflitti («Umana cosa è aver compassione degli afflitti», scrisse nel Proemio) e Fatigati lancia un’altra teoria: non solo fu cristiano e teologo, ma forse anche sacerdote, in quanto fortemente legato alla tradizione teologica dell’ordine agostiniano, infatti alla sua morte aveva lasciato in eredità ai frati eremiti di un monastero sorto vicino a Firenze, svariati paramenti sacri che gli erano appartenuti: pianeta, stole, tovaglie d’altare, alcune preziose reliquie. E, a proposito di eredità, ecco la rivelazione che sorprende, e conferma che Boccaccio non cedette neppure alle lusinghe di un alto tenore di vita (nessuna concessione ai piaceri della vita), infatti a parte gli oggetti sacri, i lasciti testamentari testimoniano finanze non particolarmente floride. In denaro liquido erano una sciocchezza, l’equivalente di 165 euro oggi, la casa in cui viveva, un piccolo terreno e, questo veramente di enorme valore, un centinaio di libri, per quei tempi una vera rarità, considerato che ogni testo doveva essere ricopiato a mano, con costi altissimi. Al confronto con il contemporaneo Petrarca, che aveva lasciato un’eredità pari a circa 80.000 euro, una vera miseria. Di conseguenza, l’autore ne deduce che, avendo seguito Seneca nei principi ideali, Boccaccio aveva vissuto in «accordo con la povertà», in sintonia con gli ordini mendicanti del tempo.
Data recensione: 23/06/2021
Testata Giornalistica: Libero
Autore: Bruna Magi