«Chi mi manca tanto a me sono i nonni». Sono passati ventisei anni dall’uscita di «Ivo il tardivo », il film in cui Alessandro Benvenuti
Un libro illustra la
Castelnuovo del film di Benvenuti, abbandonata per sfruttare le miniere.
Omaggio al manicomio dei matti da slegare
«Chi mi manca tanto a me sono i nonni». Sono passati ventisei anni dall’uscita
di «Ivo il tardivo », il film in cui Alessandro Benvenuti portò sulla schermo
questo personaggio diverso, solitario, uscito da un manicomio, che parla
velocissimo e pure balbetta, che vive solo nel paese abbandonato di Castelnuovo
dei Sabbioni. Un’opera coraggiosa, fuori dagli schemi, di cui ora esce il libro
che ricostruisce la nascita di questa pellicola folle, libro firmato da Enrico
Zoi, Philippe Chellini e dallo stesso Benvenuti e che inaugura la collana Sarnus
«Il Cocomero», dedicata alla eccellenze che la Toscana ha regalato al mondo
dello spettacolo.
E così con queste pagine torniamo per le strade di Castelnuovo, in questo borgo
disabitato di Cavriglia dove fu interamente girato il film e che portò alla
luce una realtà dimenticata. Proprio accanto a questo borgo, infatti, venne
costruito anche un villaggio per ospitare i minatori e le loro famiglie, che
lavoravano nell’importante bacino minerario del Valdarno da dove si estraeva la
lignite. Soprattutto quelli che venivano da lontano e una casa non ce
l’avevano. Fino all’inizio degli anni Sessanta il complesso era ancora abitato,
poi fu gradualmente abbandonato per evitare i pericoli di crolli provocati
dalle escavazioni. Alla metà degli anni Settanta fu parzialmente distrutto e
poi abbandonato tanto da diventare «paese fantasma».
Non solo: c’è un citazione, anzi un omaggio, a una delle scommesse più
importanti fatte ad Arezzo per la cura dei malati psichiatrici. Quando ancora
al Pionta c’era il manicomio, ai primi del Novecento, con l’arrivo del direttore
Arnaldo Pieraccini, tra le nuove introdotte per il recupero dei pazienti ci fu
quello di dare loro la possibilità di esprimersi con l’arte. Nel film Benvenuti
racconta a suo modo questo passo importante verso la restituzione della dignità
di pazienti che comunque avevano molto da dire su di sé. Il personaggio di Ivo,
infatti, a un certo punto della sua vita incontra Sara che lo convince ad
entrare in una comunità, una sorta di casa famiglia, che ospita malati
psichiatrici. Per un equivoco viene coinvolto ingiustamente nel furto di un
orologio, Ivo fugge e ritorna nel casale dove viveva ma quando Sara va a
cercarlo scopre i meravigliosi lavori che lui faceva in completa solitudine e trasforma
la casa in un’esposizione artistica.
Il libro racconta il dietro le quinte, dà voce all’attore, inserisce curiosità
e aneddoti, propone una ricca carrellata di foto esclusive scattate durante la
lavorazione del film che ritraggono personaggi del posto e il paese «fantasma».
«Queste pagine – spiegano gli autori – raccontano più storie. Parlano di un
film della fine del secolo scorso, di un regista toscano che ha voluto narrare
prima di tutto una bella storia d’amore, vissuta da una persona colpita dalla
vita che, insieme al suo paesino natale, riesce a raggiungere una dignità e una
ragione di essere e di stare nel mondo. Ma raccontano anche come si possa
pensare e costruire un film attraverso le gioie e i disagi che questo
bellissimo mestiere riesce a regalare».
Data recensione: 15/05/2021
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Silvia Bardi