Maître à penser della politica italiana del secondo Novecento e finissimo studioso della storiografia europea novecentesca
Maître à penser
della politica italiana del secondo Novecento e finissimo studioso della
storiografia europea novecentesca, Rosario Romeo appartiene a quella categoria
di storici che non vollero in nessun modo scindere la propria attività intellettuale
dall’impegno nella vita politica e civile del proprio Paese, arrivando a ricoprire,
grazie alla sua instancabile opera, cariche politico-istituzionali di grande rilievo.
Storico di ampio respiro, affrontò tematiche relative all’età medievale,
moderna e contemporanea, allargando il proprio raggio d’indagine anche alla
storia economica, culturale e sociale e dando prova di approfondite competenze
teoriche e metodologiche che esemplificò, come le sue concezioni ideologiche e
politiche, non già in organici lavori concepiti ad hoc, ma occasionalmente in rassegne, note critiche, interventi a
dibattiti e convegni. Occorre tuttavia sottolineare che, leggendo a fondo i
suoi scritti (articoli per quotidiani e riviste, prefazioni a volumi, relazioni
a convegni di partito e discorsi al Parlamento Europeo, opere storiche) sarà
possibile cogliere il pensiero concreto e netto di Romeo sia in merito al
metodo storiografico sia in relazione all’impegno politico. Se infatti i
principali assunti teorici, interpretativi e critici a cui sono ascrivibili le
opere storiche sono da riferirsi alla grande famiglia della storiografia
idealistica crociana, è importante ricordare che questa appartenenza fu sempre
sottoposta a un riesame critico e, in modo particolare, che «lo specifico
modello storiografico al quale inizialmente Romeo si ispirò, pur nella più
generale adesione all’idealismo filosofico-storiografico e al liberalismo
politico crociano, fu […] quello del Volpe della scuola economicogiuridica, alla
quale appartenne anche Gaetano Salvemini, verso il quale Romeo ebbe
un’attenzione non irrilevante» (Guido Pescosolido, Prolusione a Rosario Romeo Storico e Politico, Polistampa, 2020, p.
17).
Se i suoi scritti storici e il peso che egli ebbe nella storiografia italiana
hanno lasciato un’impronta indelebile in termini di profondità e originalità,
non di minore rilievo fu il suo ruolo in ambito accademico, dal momento che la
sua carriera universitaria fu tanto rapida quanto brillante: nominato nel 1953
segretario dall’Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Benedetto
Croce e diretto da Federico Chabod, presso il quale aveva vinto una borsa di
studio nel 1947, vinse il concorso a cattedre di Storia del Risorgimento nel
1955, senza mai essere stato assistente, e fu chiamato a insegnare presso la
Facoltà di Magistero dell’Università di Messina, dove fu immediatamente eletto
Preside. Durante i primi anni Sessanta, passò alla Facoltà di Magistero
dell’Università di Roma e nel 1963 a quella di Lettere e Filosofia dello stesso
Ateneo, dove rimase docente ordinario fino alla sua morte. Dopo aver insegnato
per un anno presso l’Istituto Universitario Europeo, nel 1978-1979 fondò con
Guido Carli e Paolo Savona la Luiss, dove ricoprì la carica di rettore fino al
1984.
Con spirito innovatore e attitudine decisa, Romeo si adoperò in ambito politico
e civile con proposte spesso spiazzanti, scomode persino per l’area di
appartenenza, ossia il grande alveo del liberalismo riformatore e progressista,
volto alla salvaguardia dei valori della storia della civiltà occidentale
riassumibili genericamente nel principio dello stato di diritto, nella libertà
civile, politica, imprenditoriale e di mercato in un sistema capitalistico in
cui «lo Stato doveva farsi parte attiva e regolatrice dello sviluppo, sia in
termini di governo razionale delle oscillazioni dei cicli Recensioni 378 economici,
sia in termini di controllo degli squilibri territoriali e sociali generati dallo
sviluppo stesso, condizione prioritaria e imprescindibile per qualunque vera crescita
dei livelli della giustizia sociale» (Guido Pescosolido, Prolusione a Rosario Romeo Storico e Politico, cit., p. 19).
Infine, in questa sede, sarebbe inammissibile non ricordare l’intenso scambio ideologico
e il profondo rapporto umano intercorsi tra Rosario Romeo e Giovanni Spadolini:
proprio la «Nuova Antologia» ne sancì un punto di incontro, divenendo «uno dei
momenti del loro idem sentire, depositum fidei delle loro idee, dei
loro studi, della battaglia per i comuni valori» (Cosimo Ceccuti, Rosario Romeo e la «Nuova Antologia», in
Rosario Romeo Storico e Politico,
cit., p. 48). E non è un caso, quindi, se Rosario Romeo – che aveva iniziato a
collaborare alla «Nuova Antologia » nel 1974, ossia nella fase più critica
attraversata dalla rivista ultracentenaria, quando il rischio della chiusura si
faceva sempre più verosimile e solo l’intervento salvifico di Spadolini poté
scongiurarlo – consegnò proprio alle pagine della rivista il suo saggio L’influsso rivoluzionario di Mazzini in
Europa. Era il marzo 1987 e Romeo non vedrà mai effettivamente pubblicato
quel saggio né potrà sfogliarlo e saggiarne la consistenza delle pagine: il
grande intellettuale morirà infatti il giorno 16 dello stesso mese, lasciando
un contributo grandissimo a impreziosire ulteriormente la storia della Rivista.
Data recensione: 01/01/2021
Testata Giornalistica: Nuova Antologia
Autore: Serena Bedini