La mattina del 5 novembre 1968 un uomo sui quarant’anni, di aspetto distinto e i capelli ricciuti pettinati all’indietro
Tra il 1968 segnato dall’invasione
di Praga e la caduta dell’impero sovietico nel 1991 alcuni eroi solitari
osarono sfidare il gigante rosso ricorrendo al gesto più estremo: l’immolazione
di se stessi attraverso il fuoco. Tra questi Vasyl’ Makuch, che si uccise nel
centro di Kiev nel 1968 precedendo il più celebre Jan Palach
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’editore, un estratto di Eroi in fiamme. Makuch e gli altri che
sfidarono l’Urss (Mauro Pagliai Editore) di Dario Fertilio e Olena
Ponomareva
La mattina del 5 novembre
1968 un uomo sui quarant’anni, di aspetto distinto e i capelli ricciuti
pettinati all’indietro, entrò nell’edificio delle Poste Centrali sulla via
Chreš?atyk, in pieno centro di Kyiv, sull’angolo con l’allora piazza Kalinin.
Si chiamava Vasyl’ Makuch. Teneva in mano una busta rigonfia, indirizzata al
Comitato centrale del Partito comunista dell’Ucraina, che impostò regolarmente
prima di allontanarsi. Un paio d’ore più tardi, l’uomo mise in atto il
proposito manifestato nella lettera, e si diede fuoco davanti a tutti sulla
stessa via Chreš?atyk, per protestare contro l’invasione di Praga e la
russificazione del Paese. La scena fu tale da lasciare un ricordo indelebile
fra i passanti. Makuch corse avvolto dalle fiamme e gridando: “Via i
colonizzatori!”, “Viva l’Ucraina libera!”, “Giù le mani dalla Cecoslovacchia!”.
In quel momento il centro della città era gremito di gente, ma pullulava anche
di polizia e di agenti dei servizi segreti in borghese. Tanto dispiegamento di
forze si giustificava col fatto che, alla vigilia del venticinquesimo
anniversario della liberazione di Kyiv dai nazisti, si preparavano i
festeggiamenti. E quel giorno coincideva anche con il cinquantesimo della
rivoluzione bolscevica, celebrato in pompa magna in tutta l’Unione Sovietica. Gli
agenti si precipitarono ad accerchiare la torcia umana e ad allontanare la
folla. Nel frattempo Makuch era caduto a terra, e un agente di polizia aveva
tentato di spegnere le fiamme servendosi della sua divisa. (Per un caso
fortuito, il poliziotto era nato nello stesso villaggio di Vasyl’ Makuch,
Kariv. Si chiamava Mykola Mazur. Ma la sua prontezza non bastò a salvarlo,
poiché anche l’intervento provvidenziale degli angeli custodi a volte fallisce
il suo scopo). La morte, provocata dalle ustioni diffuse sulla maggior parte
del corpo, sopravvenne dopo immani sofferenze alle undici di sera del giorno
successivo. Viene naturale, nella prospettiva storica di oggi, paragonare quel
gesto estremo all’altro simile, ma la cui eco fu enormemente maggiore, messo in
atto dallo studente Jan Palach a Praga. Salta agli occhi un particolare: la
data. L’allora sconosciuto Vasyl’ Makuch agì poco più di due mesi dopo l’ingresso
dei carri armati sovietici in Cecoslovacchia, quando verosimilmente lo studente
ceco non aveva ancora nemmeno concepito il suo progetto suicida, e mentre la
repressione era ancora in corso. Soltanto i Sette di Mosca, e poi l’altra
torcia umana, il polacco Ryszard Siwiec, avevano osato mettersi in gioco prima
di lui. Nemmeno sappiamo se Jan Palach nel gennaio del 1969 fosse a conoscenza
di quei precedenti, sicché le autoimmolazioni di Siwiec e Makuch gli siano
servite da esempio. Siwiec, Makuch, Palach: questa trinità del martirio
coscientemente affrontato ci si offre oggi come un simbolo di qualcosa che non
è facile mettere a fuoco. Se infatti è comprensibile, entro certi limiti, l’autoimmolazione
eroica, capace di scuotere le coscienze, risulta più difficile afferrare le
motivazioni del gesto di chi non poteva non prevedere che il suo sacrificio
sarebbe stato cancellato da qualsiasi libro di storia, e rimosso dalla
coscienza collettiva. A differenza di Siwiec, che nello stadio di Varsavia si
impose comunque alla memoria di molti; e a differenza di Jan Palach, destinato
alla santificazione postuma, nazionale e religiosa, della Cecoslovacchia e di
tutto il mondo, il nome di Makuch sparì negli incartamenti segreti della
amministrazione poliziesca sovietica. Il processo che gli venne intentato, a
morte avvenuta, si concluse con l’archiviazione di prammatica “per il suo stato
di turbamento mentale”.
Non rimane dunque che interpretare ciò che è accaduto come l’affermazione
solitaria di un’idea, e di una necessità personale indifferibile. Nella
lettera, consegnata da Makuch alla Posta di Kyiv poco prima di darsi fuoco,
sono accuratamente spiegate le motivazioni storiche e politiche, moralmente
ineccepibili e nella sostanza violentemente accusatorie, verso l’intero sistema
sovietico. Il suo dunque non fu un gesto emotivo, disperato, frutto di un momento
d’esaltazione autolesionistica. Makuch sentiva di dover agire in quel modo per
non tradire se stesso, e non sottrarsi alla necessità di una radicale
testimonianza personale.
Oggi, dopo la caduta del regime che aveva osato sfidare da solo, vengono alla
luce i documenti che provano il suo coraggio e raccontano ciò che venne rimosso
dal regime per decenni. Una busta, i fogli scritti a mano da Makuch in
calligrafia ordinata, i rapporti riservati delle autorità su di lui, i timbri
postali che provano come tutto sia successo in tempi brevissimi. La lettera fu
recapitata probabilmente il giorno stesso al Comitato centrale del Partito,
poiché la sede si trovava a poca distanza dall’edificio delle Poste. Ogni frase
venne letta, e le più significative sottolineate di suo pugno con una matita
rossa, dal presidente Petro Šelest, mentre il rapporto conclusivo seguì di poco
la morte. Per questo motivo il titolo di eroe in fiamme spetta, più che a
chiunque altro, a lui, Vasyl’ Makuch. L’allora piazza Kalinin, vicino alla
quale ebbe luogo il martirio, oggi è Maidan Nezaležnosty, la Piazza dell’Indipendenza.
Che nell’immaginario collettivo della nuova Ucraina, a partire dalle proteste
studentesche del 1990, e in seguito alla rivoluzione detta “arancione” del
2004-05, ma soprattutto dopo la rivolta del 2013-14, è sinonimo di spazio di
libertà.
Data recensione: 24/11/2020
Testata Giornalistica: IlGiornale.it
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