«Viaggiare» con Giovanni Morandi non è mai noioso. Soprattutto quando ti propone un romanzo ambientato sull’asse
«Viaggiare» con Giovanni Morandi non è mai noioso.
Soprattutto quando ti propone un romanzo ambientato sull’asse Russia-Polonia
nel quale richiama costantemente uno dei luoghi più selvaggi e misteriosi del mondo,
con una narrazione emozionante ed evocativa, da film. Già il titolo (Non è facile coltivare pomodori in Siberia -
Pagliai Editore, p. 144, euro 10) prefigura i tratti originari di questa terra
sfuggente, infinita, che negli occhi dei primi viaggiatori con il suo vuoto
apparente era una lavagna pulita su cui scrivere. Per secoli sollevò leggende, evocò
ideali, suscitò soprattutto paure, perché sistematicamente indicata come prigione
per condannati: Dostoevskij e Solzenicyn ci hanno lasciato pagine memorabili
sul loro carcere interminabile e duro nei Gulag, forse mutati ma non del tutto
scomparsi nell’era Putin. Persino il suo nome - una fusione mistica tra il
mongolo «siber» (bello, puro) e il tartaro «sibir» (terra addormentata) -
suggeriva l’immagine di un altrove immacolato e in attesa. Hegel la collocò
addirittura fuori dai confini della storia: troppo fredda e ostile per ospitare
una vita significativa. Giovanni Morandi - giornalista e scrittore,
editorialista del «Quotidiano Nazionale»
dopo aver diretto «Il Giorno», «Il Resto del Carlino» e lo stesso QN - questa
esistenza palpabile l’ha invece colta e incarnata nelle storie diverse di tre
donne anche perché ha potuto muoversi all’interno di quella realtà in momenti
più recenti di grandi sommovimenti. Partendo dalla sua lunga esperienza
all’ombra del Cremlino presidiato dall’Armata Rossa e nei Paesi «satelliti» dell’Est:
corrispondente da Mosca negli ultimi anni dell’Urss, ha assistito, unico giornalista
straniero, al folgorante ammainabandiera avvenuto il 25 dicembre 1991 al Cremlino.
E su questi sconvolgimenti più volte ha intervistato Gorbaciov e altri protagonisti
di quel lento, faticoso trapasso. Ricostruite queste tappe in saggi, libri e in
una sorta di «Diario pubblico» della sua avventura di inviato, ora Morandi
cambia formula senza mai rinunciare all’affresco storico. Con un’opera
incentrata sulle vicende di un trio ben assortito, che l’autore dice essere
frutto di fantasia: nonna, madre autoritaria e figlia che diventano emblemi di
tre diverse generazioni. Ekaterina, nata in una famiglia aristocratica polacca,
sarà deportata in un gulag negli anni
della rivoluzione. La figlia Marija, che a quella rivoluzione è fedele fino a entrare
nella cosiddetta nomenclatura sovietica, vede le proprie speranze svanire,
tradite dalla fine del comunismo. Vera, come tante giovani dei nostri tempi,
parte e coraggiosamente scommette sul suo futuro in Italia. Tra mille
difficoltà e peripezie, cerca di lasciare alle spalle le brutte esperienze. E, quando
sopravviene un po’ di comprensibile nostalgia, le basta avvolgersi in una pelle
di lupo per tornare nella sua casa ai margini della foresta di betulle, in
quella Siberia che per lei è sempre familiare anche se la rivede solo attraverso
video o fotografie. Proprio Vera ci accompagna nei meandri di ricordi che si
intrecciano; è lei a svelarci, in fondo, il succo del romanzo: «Mi chiedo se
sono cambiata e se sono diventata diversa da quella persona che ero prima di lasciare
la Russia. Non lo so, ma se fossi rimasta là probabilmente sarei diversa. Non è
soltanto il tempo che ti cambia ma i luoghi e i fatti della vita. E se fuggi
via non ti liberi dei legami perché fuggono con te».
Data recensione: 06/09/2020
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Antonio Lovascio