«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18, 8). Così si chiude l’invito di Gesù
«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla
terra?» (Lc 18, 8). Così si chiude l’invito di Gesù a perseverare nella
preghiera dopo il racconto della vedova che finalmente, dopo ripetute
insistenze, riesce a ottenere giustizia dal giudice disonesto. La domanda di
Gesù, se in altri tempi di conclamata societas christiana poteva anche apparire
retorica, oggi a noi pare particolarmente inquietante se osserviamo la situazione
di miscredenza che si fa sempre più evidente nei paesi del benessere,
protagonisti di una stagione di paganesimo subdolo e avvolgente, e se volgiamo
lo sguardo alle immense baraccopoli sorte alle periferie di tutte le grandi
città del mondo e nelle quali il nome di Gesù e della sua Chiesa non significa
praticamente nulla. E a volte, ma solo per un attimo, si può avere
l’impressione che ancora poche generazioni e poi non vi saranno più cristiani
sulla terra.
Eppure siamo certi che Dio non abbandonerà mai la comunità dei credenti:
basterà ricordare le assicurazioni di Gesù in proposito (Mt 16, 18 e
soprattutto 28, 20), ma a chi scrive tornano alla mente anche le parole fra
Giorgio La Pira e don Zeno Saltini che negli anni convulsi vissuti dalla Chiesa
nel dopo Concilio che conversando con un gruppo di giovani affermavano
paradossalmente che, in caso di deriva della “barca di Pietro”, Gesù sarebbe
stato pronto anche a ricominciare da capo con altri dodici... In realtà la
comunità del Messia, ucciso ma risorto, sarà sempre presente nella storia, fra
le consolazioni di Dio e le persecuzioni del mondo, ma ai credenti è richiesta
– unica via di salvezza – una continua conversione dalla fissità e
dall’immobilismo e dalla pervicace volontà di resistere alle “provocazioni” di
Dio (p. 77).
Il rischio maggiore è quella mondanità spirituale che il papa stigmatizza nella
Evangelii Gaudium – definita dall’A.
un vero e proprio evento ecclesiale (p. 78) – e che consiste nel cercare, al
posto della gloria del Signore, la gloria umana e il benessere personale;
contro di essa Francesco usa parole ferme e coraggiose (nn. 93-97) concluse
dall’affermazione – “Non lasciamoci rubare il Vangelo – che l’A. ha posto a
titolo programmatico delle sue riflessioni.
Secondo l’A. con papa Francesco si è chiusa la stagione del “labile
cambiamento” postconciliare – durata quasi cinque decenni – e si è avviato “il
cammino del popolo di Dio incontro al futuro” (p. 8) constatando però che
accanto a promettenti germogli di rinnovamento permangono resistenze
anacronistiche in settori della comunità cristiana, a partire dall’esercizio
dell’autorità nella Chiesa che sembra qualcosa di indiscutibile e
immodificabile. Non più nuovi vescovi, ma vescovi nuovi! Sul punto il pensiero
dell’A. è fortemente motivato e lo induce a giudizi severi sulla formazione
della gerarchia ecclesiastica, tanto che in epoche non troppo lontane per
essere promossi all’episcopato bastava mostrare fedeltà alla tradizione e, in
Italia, una buona dose di anticomunismo! Fin dal rito di consacrazione si
adombra la formazione di una casta e di una struttura piramidale che oggi non
può più essere ben accolta se davvero vogliamo prestare attenzione ai segni dei
tempi, cioè a riconoscere il disegno di Dio sull’umanità, dalle sue origini fino
alla sua fine, ma passando per l’attualità. E per fare un semplice esempio, ma
frontalmente provocatorio, non si può non convenire con l’A. quando invita i
vescovi a stare alla pari con gli altri, a rovesciare la piramide, a rifuggire
dalle dinamiche della competizione, della carriera, dell’adulazione. Essi sono
profeti della Parola e di un Messia sconfitto, nulla di diverso. Primi custodi
della comunione all’interno del popolo di Dio, si deve acccettare che i vescovi
siano, nel complessivo problema del rapporto tra fede e vita, alla pari di
tutti i battezzati. E con efficace ironia l’A. ci pone un inquietante
interrogativo: “Avete mai pensato allo stupore del Messia sconfitto al sentirsi
chiamare ‘eccellenza’ o ‘eminenza’? Eppure sarebbe l’unico a meritarlo” (pp.
80-81).
Altro segno dei tempi è chiaramente il ruolo sempre più centrale della donna
nella Chiesa. E’ evidente che non hanno più senso le secolari emarginazioni
dell’universo femminile nello svolgimento della vita ecclesiale, si deve anzi
pensare che le donne rappresentano una grande ricchezza per nuovi ministeri e
inedite formule pastorali, altrimenti sarà meglio cessare di parlare di “genio”
femminile.
Insomma, è tempo di sfide nella Chiesa che, oggi come ieri e sempre, non può
esitare di accostarsi al Vangelo di Gesù che, con formula originale, l’A.
chiama l’Inabissato”, quasi ad indicare l’infinita distanza fra l’uomo e Dio
colmata, per così dire, dall’autodonazione di Dio: grazia che supera la durezza
del cuore e diventa luce per le nostre tenebre.
Una parola conclusiva: la lettura più volte ci pone davanti a idee e fatti che
l’A. conosce direttamente per aver vissuto per moltissimi anni in ambienti
prossimi alla curia romana; egli cioè racconta una sua esperienza di Chiesa
vissuta dal “centro direzionale”, dove non è difficile pensare che convivano
tendenze anche opposte in fatto di rinnovamento pastorale. Il libro indica
insomma la strategia per un cammino di speranza della Chiesa, di tutta la
Chiesa, a partire però da un rinnovamento intraecclesiale auspicato e
sintetizzato nelle pagine finali mediante una lettera aperta e rivelatrice
indirizzata a papa Francesco.
Data recensione: 06/07/2020
Testata Giornalistica: Corrispondenza
Autore: Silvano Sassolini