Nei locali della biblioteca Pietro Thouar di Firenze, alcuni scrittori, critici letterari e amici di Alberta Bigagli (Sesto Fiorentino,
Ritratto a più voci della poetessa fiorentina
Nei locali della biblioteca Pietro Thouar di Firenze, alcuni scrittori, critici
letterari e amici di Alberta Bigagli (Sesto Fiorentino, 1928-Firenze 2017)
hanno cercato di ricostruire nei giorni scorsi della sua opera poetica e anche
narrativa, soffermandosi soprattutto sugli ultimi venti anni della sua
attività, potremmo dire degli anni penultimi e ultimi, caratterizzati da una
ricerca che si fa spesso invocazione, mentre sperimenta nell’anzianità una
debolezza fisica che la conduce anche in quei luoghi “di frontiera”, di
“dogana”, che non di rado sono gli istituti. Lo spunto è stato dato dalla
presentazione di un libro postumo (non nei contenuti), dal titolo ‘La mia amica
Antigone’, edito da Polistampa.
Già nel 2009, al momento in cui Passigli ha editato tutte le poesie e le prose
liriche sotto il titolo di ‘Amore fu’ e il sottotitolo di ‘La poesia di una
vita’, Bigagli adotta il punto di vista di Carlo Betocchi, al quale del resto
dedica proprio ‘Amore fu’, e che rivela in un testo delle ‘Poesie del sabato’,
scelto non a caso per la raccolta ‘La mia amica Antigone’, l’assunzione della
“vecchiaia” come “una nuova stagione”, come “silenzio che non si perde nel
nulla”.
A questo senso del “silenzio” Bigagli ci è arrivata con un bagaglio preciso,
che Valerio Nardoni, in particolare, e Franco Manescalchi, con Giuseppe
Marchetti e Giuseppe Baldassarre, hanno ricostruito con osservazioni nelle loro
introduzioni e commenti su cui è opportuno ritornare. Di particolare utilità la
ricostruzione biografica contenuta ne ‘La mia amica Antigone’.
Dunque cosa c’è nel bagaglio? Bigagli è una psicopedagogista che ha il culto
della parola, del valore che essa ha come semina e come ponte per entrare in
relazione con gli altri. Questo è un aspetto fondante della sua biografia che
si intreccia con l’opera di scrittura, anche a fianco dei malati psichici
attraverso la tecnica del “tu racconti, io scrivo”.
Gli scritti raccolti in ‘Amore fu’ coprono un arco di tempo che va da ‘L’amore
e altro’ del 1975 ai ‘Salmi laici’ e ‘Agli amici di Villa Ulivella’.
Veniamo a contatto non solo col mondo interiore dell’autrice – un mondo solare
che resiste alla “leggerezza”, cioè alla fragilità, della vita - quanto con
quello dei ricoverati dell’Ospedale psichiatrico di San Salvi, come anche quello
dell’Ospedale di Montelupo e dei detenuti nel carcere di Prato.
Siamo di fronte a un’esplorazione di luoghi e mondi che si fa testimonianza
umana da una parte ed espressione compiuta di alto valore letterario dall’altra.
L’abilità di Bigagli si rivela nel ricostruire, in versi, quei dialoghi avuti
con gli altri che si fanno storia, espressione possibile dell’essere insieme
vincendo con la parola l’isolamento (“Ci appartengono gli altri/sono il sole
che avvolge”).
Dice di sé “io pratico la buona volontà”, “son anche una pietra/ segnalata da
mappe/invasata in argille/con memoria di voci” e con un riferimento di fede che
percorre in filigrana tutta la sua opera.
Bisogna a questo punto fare un tentativo di ricostruzione
filologica e soprattutto cronologica in cui collocare ‘La mia amica Antigone’
che raccoglie testi scritti dal 1995 al 2009 ed è di fatto un estratto di ‘Amore
fu’ e più precisamente propone insieme i ‘Salmi laici’ e tre composizioni di ‘Sentimento
della storia’. Dunque questi sono testi propedeutici ai successivi versi di ‘Dopo
la terra’ (2012), i racconti di ‘Morirai con un foglio in mano’ (ed. Valigie
rosse, 2013) , e alle ultime poesie di ‘Rondini, corvi e piccioni’ (Polistampa,
2016).
In ‘La mia amica Antigone’ la parte più corposa è quella dei ‘Salmi laici’,
pronunciamenti in tredici terzine raccolte sotto il titolo di salmi laici. Ma i
salmi sono in sé laici! Sono l’espressione di un re che dà voce a se stesso e
ad un popolo. Anzi, stando allo studio degli esegeti, il soggetto del salmo parla
al singolare ma è plurale.
L’insistenza su “laica” sembra dovuta al rapporto di rispetto e distinzione che
Alberta aveva per Chiesa e Fede. Alberta Bigagli li chiama dunque “Salmi”, ma
li specifica in forma di nove ‘Pronunciamenti’ in ordine a temi e scelte che si
pongono in contraddizione. Bigagli individua priorità rispetto alla scelte di
fondo e rispetto allo stato del mondo, nel quale riscontra la presenza di una
falsa libertà (“valvola scarico illusione abuso della libertà”, “selezione a
rovescio che diminuisce i bambini”), sulla quale ritornerà in un gruppo di
poesie raccolte sotto il titolo di ‘Sentimento della storia’.
Dal balcone dell’anzianità l’autrice descrive con efficacia le possibilità di
questa condizione nel pronunciamento quarto de ‘La mia amica Antigone’: “Vanno
non vanno ma non sono fermi e non si può/ anzi la loro testa all’indietro
chiama il passato/ che non risponde poiché sta nel tempo non nello spazio”,
“noi siamo perché fummo e un vento ci trattiene”.
Se si è avuta “intelligenza d’amore” (“Ho atteso il dono che sarebbe più
ambito/ che non ha avuto nome perché non sia distrutto/ dico di quella cosa ch’è
intelligenza d’amore”, secondo pronunciamento) si impara a cogliere “i
suggerimenti del vento”, cioè dello Spirito e allora anche “una giornata
qualunque è un apocalisse” (terzo pronunciamento), cioè una rivelazione. Così
si può maturare come “ogni gesto d’amore è ghianda e spigo per l’inverno”
(primo pronunciamento) e la speranza di essere “stata fra gli atomi che sono e
fanno essere”. Antigone è qui, in quella pietà e resistenza d’amore che la
mitologia greca ha individuato in lei.
Nella sezione ‘Sentimento della storia’ vi sono tre composizioni che si
connettono ai nodi del tempo presente. Evidente l’attualità della poesia ‘E’ ancora
il tempo di Anna’ (Frank, ndr), del 2003, dove vi è il rimpianto e la
prospettiva per una politica che è quella messa in campo dai padri costituenti:
“Politica era questa e non è vero che fu odio./ Fu ansia grande ansia nel cuore
dei più”, mentre agli inizi del nuovo millennio “è stata ammessa con cinismo
dai Cesari attuali/ la somiglianza il gemellaggio fra la guerra e la pace”.
Quei versi sono espressione di “intelligenza d’amore” e del “silenzio”
enunciato da Betocchi. Un silenzio eloquente, quello di Alberta Bigagli, nel
quale sono poi nati nuovi libri, germinati su queste linee di fondo.
La scrittura più recente per noi ma ultima per Alberta Bigagli si è sedimentata
prima intorno a visioni, meditazioni e pronunciamenti, talvolta declinati con
qualche sentenza, quindi con una raccolta degli angoli dell’esistenza, per non
dimenticare nessuno, come nei racconti che le consentono di tornare nel tempo
del suo essere telefonista alla Teti a fianco a colleghe cui dedica un
ritratto, da collocare accanto al suo: “... a volte emano potere... anche se
vorrei tenerezza. È così che si realizza il proprio sdoppiamento. Una sorta di
schizofrenia intellettuale. Sì, questo porta sofferenza, ma tutto è meglio ne
sono convinta, del solito opportunista e volgare adattamento”.
Nel silenzio che non si perde, nella nuova stagione che porta sulla linea
estrema di confine “noi stessi e il corpo del tempo”, Bigagli conosce “un altro
vento”, che lascia intuire cosa può esserci “dopo la terra”. Ci sembra il
soffio di un vento biblico, è la “Bibbia dentro”, “la traccia oscura che
salva”, il segno del “terremoto cristico”, “lascia che soffra con le mie
parole/tutto il crescente male del mondo”, “amore è che decide incide e
recide”.
Il lascito finale della scrittrice è in ‘Rondini, corvi e piccioni’ che
esplicita, con una poesia più descrittiva e intuitiva, meno puntata sui
concetti da spiegare, un altro tassello del mosaico esistenziale degli ultimi
anni di Bigagli: “Dentro noi ci portiamo i paesi e le città/ dentro noi abbiamo
fiumi e gallerie”. Le contraddizioni dell’esistenza diventano un paesaggio
ricomposto, offerto, dove si fa spazio, ancora una volta, alla voce degli
altri: “Io le sento le voci dei bambini/ che si intrattengono nel prato”.
Gli ultimi anni di Alberta Bigagli offrono altri materiali da sistematizzare,
anche quelli che si presentano come editoriali della sua rivista che non a caso
si chiamava ‘Voce viva’ e che sono in relazione sopratttutto con le poesie,
come questo editoriale del maggio 2011:
“Noi abbiamo una visione. Noi chi? Lo so, sento di avere
intorno una folla oltre quella reale e toccabile. lo avverto un fenomeno: l’eco
dei sogni. Sogno se sono sola ma l’alone dei sogni stessi si fa caldo, sviluppa
senso di compagnia. Due mattine fa vidi ad est nel cielo accendersi un viola
splendente, frizzante, fra nubi poco consistenti. Tre sere fa verso ovest m’era
apparso, al chiudersi della luce giornaliera, un colore nell’ aria indefinibile
sottile, forse un pervinca. Vestiva la cornice dei tetti, tegoli bruni, la
cornice di piccole mansarde. Scendeva il cielo o saliva la terra? Poi è venuta
la neve. Annebbiante e grigio perla durante la caduta, poi rigonfiante. Bianca
di un bianco che sfida, con brevi bagliori diamantici. Il mondo può diventare
candido? Si e da sempre. Ma ogni volta ci sorprende... La visione è un corteo
di ombre nella fede, poiché non si toccano il passato e il futuro. Al centro il
presente e noi stessi, che stiamo seminando dopo avere raccolto. Che stiamo
cantando, senza saperlo, un canto dolce e insistente, non percepibile dal
potere nè dalla protesta disperata. Che ci lascino vivere, a noi basta. A noi,
la schiera della gente che non si vende e marcia con gli occhi verso la luce.
Si diceva appunto, che noi abbiamo una visione”.
Data recensione: 19/11/2019
Testata Giornalistica: La Nazione.it
Autore: Michele Brancale