«Danzerò questo dipinto». Isadora Duncan è davanti alla Primavera di Sandro Botticelli. Persa nei colori
Sognava di animare il capolavoro di Botticelli, fece una
rivoluzione. Ora una mostra al Mart, la prima sotto la guida di Sgarbi, racconta
la vita meravigliosa e tragica (perse tre figli) di IsadoraDuncan.Anche con un
quadro della collezione di Berlusconi
«Danzerò questo dipinto». Isadora Duncan è davanti alla Primavera di Sandro Botticelli. Persa nei colori, incurante del via
vai nelle sale degli Uffizi. Un rapimento lunghissimo, come lei stessa ha
annotato ricordando i soggiorni fiorentini: «Stavo lì seduta giornate intere. Restavo
fino a quando mi pareva di assistere realmente allo sbocciare di quei fiori, al
muoversi a danza di quei piedi, al palpitare di quei corpi; fino a che un
angelo della gioia veniva a visitarmi». Sono i primi del Novecento e lei, la
ballerina giunta dall’America, ha un obiettivo: «Trasmetterò agli altri questo
messaggio d’amore, di vita. E sarà la danza a dare loro questa estasi». Ci
riuscirà, più e più volte. Sul palco si presenta scalza e avvolta da un velo,
come Flora, come le ninfe, come Venere. Nata a San Francisco nel 1877, morta
tragicamente a Nizza nel 1927, Isadora Duncan è considerata la madre della danza
moderna. Per lei il corpo è strumento che comunica emozioni, sentimenti,
valori, arte e spirito. Fedele ai costumi degli antichi greci, ai loro rituali
di natura e istinto, nemica delle convenzioni del suo tempo, del manierismo che
imbriglia le ballerine in tutù e scarpette a punta. Isadora conosce le regole
dell’accademia (ci è cresciuta) e le butta all’aria. Nei suoi movimenti cerca
il Jean-Jacques Rousseau dell’Émile,
Walt Whitman e Friedrich Nietzsche («I miei unici maestri di danza»): è
un’innovatrice totale, dal ritmo dei gesti alla concezione del ruolo della
donna.
A lei, che si ispirava con i capolavori e a propria volta ne ha ispirati, è
dedicata la mostra Danzare la
rivoluzione. Isadora Duncan e le arti figurative in Italia tra Ottocento e
avanguardia: dopo una prima tappa a Villa Bardini (Firenze), fino al primo
marzo è ospitata al Mart di Rovereto. Un approdo «fortemente voluto» dal nuovo
presidente dell’istituzione, Vittorio Sgarbi, che inaugura di fatto la propria stagione
e spiega: «Onoriamo, attraverso le arti figurative e la indispensabile fotografia,
fra emozione e documento, la prima delle arti, la più immediata, la più diretta,
espressa dal corpo, senza mediazioni: la danza. E le opere danzano intorno a
una persona, “grande maestra di scultura”, attraverso le movenze del suo corpo».
Isadora Duncan, a cui «direttamente si ispirano Libero Andreotti, Romano Romanelli,
Plinio Nomellini». Un’esposizione ampia, che comprende 170 opere firmate, tra
gli altri, da Auguste Rodin, Umberto Boccioni, Fortunato Depero, Eugène
Carrière, Gaetano Previati, Hendrik Christian Andersen, Thayaht. «Il percorso –
aggiunge Sgarbi – evidenzia quanto la danza, la prima delle arti, si possa
cristallizzare nelle arti stabili, pittura e scultura. Materia, che però resta aleatoria».
È il racconto di un magnifico ossimoro e il racconto di una vita eccezionale. Perché
la danzatrice americana «è mito, è leggenda. Isadora va oltre il confine del
quotidiano, in lei nulla è ordinario: in lei ci sono l’ombra della tragedia e
la luce abbagliante».
possa cristallizzare nelle arti stabili, pittura e scultura. Materia, che però
resta aleatoria». È il racconto di un magnifico ossimoro e il racconto di una
vita eccezionale. Perché la danzatrice americana «è mito, è leggenda. Isadora
va oltre il confine del quotidiano, in lei nulla è ordinario: in lei ci sono
l’ombra della tragedia e la luce abbagliante».
Una vita eccezionale, anche nel senso inteso da Gabriele d’Annunzio, che la ballerina
ben conosceva e stimava. Isadora Duncan è agile, colta, sensuale, studiosa. Acclamata
e contestata. Coraggiosa e sfortunata, vittima di un destino maledetto. Nata in
California, nel 1895 si trasferisce a New York per entrare nella compagnia di
Augustin Daly. Tre anni dopo la sua casa brucia, lei perde tutto: si mantiene
ballando nei locali, cerca conforto nei libri, approfondisce l’eredità culturale
e spirituale dell’antica Grecia. Sbarca in Europa, la sua fama cresce. A Parigi
conosce Auguste Rodin (che la evoca con il marmo Ève au rocher, in prestito a Rovereto da Hong Kong), si esibisce su
e giù per il continente. Il suo stile anticonvenzionale riempie i teatri e dà scandalo.
«Una sera fa sono andato a vedere la Duncan — scrive nel novembre 1903 il
critico d’arte tedesco Aby Warburg —. Sarebbe meglio che danzasse insieme ad
altri: il suo agitarsi da sola davanti ai tendaggi è davvero troppo sciocco…». La
mostra sviscera anche il suo rapporto con il futurista Filippo Tommaso
Marinetti: lui prima la celebra per il coraggio, poi (nel 1917) finisce col
condannarla nel Manifesto della danza
futurista accusandola di sentimentalismo passatista. Ma Isadora, come
ricorda Sgarbi, «riesce a superare anche questo fuoco di sbarramento ». La
vita, però, affonda il colpo. Nel 1913 i suoi due bambini, Deirdre e Patrick (7
e 3 anni, figli rispettivamente del regista Gordon Craig e dell’industriale Paris
Singer) annegano precipitando con l’auto nella Senna: lo chauffeur era sceso senza
inserire il freno a mano.
Sarà la Divina, Eleonora Duse, a offrire ospitalità e affetto all’amica
disperata: la invita a Fossa dell’Abate, vicino a Viareggio, e proprio il mare
della Versilia è sfondo di Gioia tirrena
(1913) di Plinio Nomellini, tela in cui la danzatrice è ritratta tra i flutti.
Lo stesso autore, alcuni anni dopo, taglia a metà il quadro eliminando gran
parte delle onde e dando rilievo alla figura tormentata (nonostante il titolo).
Al Mart sono riunite le due porzioni, entrambe da collezioni private: quella
con Isadora è di Silvio Berlusconi. Un altro artista, Romano Romanelli, è
irretito dal carisma dell’americana: porta le sue movenze nel Risveglio di
Brunilde. Lui e Isadora hanno un figlio, che però muore in fasce. È il 1914,
lei è straziata, la sua esistenza sempre più sregolata. Nel 1922 si sposa con
il poeta Sergej Esenin, più giovane di 18 anni: il legame finisce dopo 15 mesi,
l’uomo poco dopo si suicida. Isadora cerca di tornare a ballare, la critica la
sbeffeggia per il corpo appesantito. Gli ultimi anni sono un esilio volontario fra
Nizza e Parigi: è spesso ubriaca, piena di debiti. Il 14 settembre 1927, lungo la
Promenade des Anglais, sale sulla Bugatti del pilota Benoît Falchetto. «Je vais
à l’amour», vado a innamorarmi, dice agli amici. Poco dopo la partenza, il vento
spinge la lunga sciarpa che porta al collo nei raggi di una ruota: la stretta è
fatale, la diva muore sul colpo. Al mondo non resta che piangere una musa. Il
drappo assassino era rosso, ed era quello che Isadora più amava: le ricordava i
palchi dove ondeggiava fra veli scarlatti, le scene, la vita. La sua
rivoluzione.
Data recensione: 27/10/2019
Testata Giornalistica: Corriere della Sera - La Lettura
Autore: Anna Gandolfi