Uscirà a ottobre un originale volume di Lara Mercanti e Giovanni Straffi dal titolo "Quando l’abito faceva il
FIRENZE\ aise\ - Uscirà a ottobre un originale volume di Lara Mercanti e Giovanni Straffi dal titolo "Quando l’abito faceva il monaco" (Polistampa, pp.240, euro 18), tutto volto alla scoperta del mondo monastico sotto una luce completamente nuova e per molti aspetti curiosa.
Il libro, frutto di meticolosa ricerca durata anni, raccoglie le immagini e le schede di 62 "figurini" di monaci, realizzati nella prima metà del Settecento e adesso conservati nel Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte di Firenze: dall’Augustinianus Discalceatus al Barnabita Ambrosianus, al Canonicus Mantuanus S.ti Marci fino al Sacerdos Oratori S.ti Philippi Nerii e al Trinitarius.
Per consistenza e tema la collezione è una vera rarità. Oltre all’abito religioso in generale e all’evoluzione del suo significato storico e sociale, sono trattate le origini dello specifico gruppo di figurini, descrivendo per ognuno di essi l’ordine religioso, le vesti, gli accessori e mettendo in luce quanto la moda abbia sempre interessato il mondo religioso, per la sua capacità di esprimere concetti simbolici.
L’antichissimo detto "l’abito non fa il monaco" è qui ribaltato in quanto i vari Istituti attribuivano alla veste dei monaci l’importante compito di specificare chi si era e quale ruolo si ricopriva. In alcuni periodi l’abito assunse un valore che superava la funzione pratica: alcuni ordini lo imponevano anche di notte, altri non permettevano di toglierlo nemmeno durante gravi malattie. Scrive nel 1705 Clemente Pistelli a proposito del fondatore dei chierici regolari minori: "non mirò giamai (oltre le mani) parte alcuna del suo corpo ignuda; che perciò dormiva sempre vestito, e bisognandogli talvolta rappezzar le calzette, non le levava dalle gambe, per non lasciarle scoperte, ma sopra di esse le raggiustava al meglio.".
Il volume, con presentazione di Don Sergio Pacciani e prefazione di Giancarlo Grazzini, ci propone la storia della Compagnia di Sant’Omobono, detta "dei Sarti", dove i disegni acquerellati dei figurini sono stati rinvenuti e dove è giustificata la loro funzione.
La volontà era certamente quella legata al desiderio di documentare visivamente le innumerevoli istituzioni religiose, ancora esistenti ma anche estinte o soppresse. Gli autori, però, ipotizzano che i ritratti conservati nel complesso monastico della Badia Fiorentina potessero avere anche il secondo fine di costituire una sorta di "prontuario" per le esigenze di un laboratorio-sartoria incaricato di realizzare gli abiti di vari ordini religiosi. (aise)
Data recensione: 03/10/2006
Testata Giornalistica: aise
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