Nell’anno leonardiano, che ormai sta volgendo al termine della sua lunga corsa, c’è ancora spazio
Nell’anno leonardiano, che ormai sta volgendo al termine
della sua lunga corsa, c’è ancora spazio per gli ultimi fuochi d’artificio.
Anzi, la chiusura col botto oltre che un classico in questo caso è anche uno
straordinario punto di partenza per un centro espositivo nuovo di zecca –
privato e finanziato interamente da collezionisti d’arte russi – che apre i
battenti nel miglior modo possibile. Leo Lev apre oggi con una mostra d’eccezione
nei locali recentemente inaugurati di Villa Bellio Baronti Pezzatini, in piazza
Pedretti a Vinci. Il battesimo del fuoco per Leo Lev è di quelli importanti,
per molti motivi. C’è in gioco l’attribuzione a Leonardo di una magnifica
quanto misteriosa scultura in terracotta, ci sono partners d’eccezione come l’Opificio
delle Pietre Dure e naturalmente c’è la suggestione del quinto centenario della
morte del Genio. Insomma, gli ingredienti per chiudere alla grande l’attesissima
annata leonardiana, che lascerà nel 2020 la scena nazionale e internazionale a
Raffaello Sanzio, ci sono tutti. Svelati anche i dettagli che hanno condotto a
confermare l’attribuzione, ormai risalente nel tempo, da parte di Carlo
Pedretti a un Leonardo giovane (senz’altro ante 1482), forse ancora nell’orbita
della bottega del maestro Verrocchio. «La prima notizia che abbiamo di quest’opera
– evidenzia Oreste Ruggiero, direttore del centro Leo Lev – risale al 1773 e
racconta di un evento disastroso: un incidente aveva causato la caduta dell’angelo,
letteralmente frantumatosi in 28 pezzi». Naturalmente la scultura fu alla
meglio ricomposta da un artigiano locale, ma i segni del maldestro intervento
erano ben evidenti. In più, quando ai proprietari di Leo Lev insieme a Carlo
Pedretti – tre anni fa – venne l’idea di richiedere l’opera in prestito per
esporla a Vinci, fu subito chiaro che sarebbe servito un restauro prima di
qualsiasi esposizione. I munifici proprietari russi di Leo Lev, da veri
mecenati, misero mano al portafoglio e proposero di accollarsi il finanziamento
del restauro. Un’operazione da quasi 150mila euro, compresa la realizzazione di
una copia. A quel punto entrò in gioco l’Opificio delle Pietre Dure: «La
richiesta di eseguire un lavoro tanto impegnativo in meno di un anno - ha
affermato raggiante Laura Speranza, del prestigioso centro di restauro
fiorentino - mi ha creato molte preoccupazioni. Alla fine in soli 9 mesi ce l’abbiamo
fatta. Durante il restauro siamo riusciti a recuperare frammenti delle varie
coloriture, ricavandone grandi sorprese». Infatti, con la rimozione delle
pesanti ridipinture settecentesche, sono emersi pigmenti che riconducono
inequivocabilmente la datazione della scultura al Quattrocento. «La scelta di
materiali pregiati come la lacca rossa, l’azzurrite, l’oro, denunciano una
committenza importante che non deve aver badato a spese». E qui il mistero si
fa fitto, perché di questa scultura, prima del Settecento, per ora non sappiamo
niente. «Durante l’intervento è emerso che l’artista, di livello veramente
molto alto, – ha proseguito Laura Speranza – ha semplificato i volumi dell’opera
affidando l’attenzione dei dettagli alla curatissima e preziosa policromia che
oggi si può solo intuire». Ecco Leonardo. La mostra “Se fosse un angelo di
Leonardo... L’Arcangelo Gabriele di San Gennaro in Lucchesia e il suo restauro”,
curata da Ilaria Boncompagni, Oreste Ruggiero e Laura Speranza resterà aperta
fino al 2 febbraio.
Data recensione: 05/10/2019
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: Paolo Santini