A lungo ordinario di Letteratura italiana all’Università di Losanna, accademico e studioso di fama internazionale
L’accademico romando condensa in un’antologia mezzo secolo
di studi machiavelliani
A lungo ordinario di Letteratura italiana all’Università di Losanna, accademico
e studioso di fama internazionale, grande esperto del Rinascimento,
Jean-Jacques Marchand (Yverdon, 1944) è tra i più acclarati conoscitori della
complessa e affascinante figura di Niccolò Machiavelli (Firenze,1469-1527) di
cui ha tra l’altro curato la voce nell’ultima edizione dell’Enciclopedia
Treccani. Dopo mezzo secolo di studi il professor Marchand ha ora pubblicato
una variegata antologia di saggi usciti dal 1969 ad oggi, di cui tre inediti,
che mettono in luce le maggiori sfaccettature dell’intellettuale fiorentino. Ne
abbiamo parlato con lui.
Professor Marchand, perché occuparsi ancora
di Machiavelli?
«Niccolò Machiavelli è probabilmente l’autore italiano più letto e più studiato
nel mondo dopo Dante, e forse prima di lui, perché da una parte tutti quelli
che studiano scienze politiche o le correnti di pensiero in Europa lo
riconoscono come uno dei fondatori della teoria politica moderna, e d’altra
parte perché non passa un giorno senza che qualcuno scriva o parli di
machiavellismo per il comportamento di un politico. In questo senso, seppur
estremizzato e deviato rispetto al reale pensiero di Machiavelli, si vuole
definire un personaggio che agisce senza scrupoli e senza badare ai mezzi per
arrivare al potere e mantenervisi ».
Da dove è scaturito in lei l’interesse per il grande intellettuale fiorentino?
«Il mio interesse per Machiavelli è dovuto al fatto che, sebbene l’autore sia
vissuto nel Cinquecento, le idee che ha espresso sono ancora attuali e possono
servire a riflettere sull’esercizio del potere. Va anche detto che mi sono
sempre interessato, oltre che alla letteratura, alla storia e alla politica, intesa
come modo di governare uno Stato. Infine perché studiare Machiavelli significa
lavorare su un autore che non solo è stato il fondatore della scienza politica moderna,
ma che ha anche scritto opere d’interesse letterario, come delle commedie, delle
narrazioni storiche, o di fantasia, e addirittura delle poesie: cioè uno
spirito di una grande apertura intellettuale».
Che cosa pensa di avere portato di originale agli studi su Machiavelli?
«Ogni anno vengono pubblicate centinaia di articoli in tutti i continenti
(perfino in Africa e in Asia) su questo autore che è stato tradotto nelle
maggiori lingue del mondo. (Ho visto ultimamente, passeggiando su un viale di
Rabat, una nuova edizione del Principe
in arabo, esposto su una modesta bancarella, in mezzo a gialli e a romanzi). Nei
miei studi, e soprattutto in questa selezione di una trentina di saggi riuniti in
due volumi di 260 pagine, ho cercato di esplorare una via nuova.
Contemporaneamente a un grosso lavoro dedicato alla pubblicazione delle opere
machiavelliane in un testo sicuro e conforme a quello veramente scritto
dall’autore (cioè la partecipazione all’edizione nazionale delle opere, che in
quasi venti anni ha pubblicato tutta l’opera in una ventina di volumi), ho
cercato di spiegare come le opere maggiori nascano da tutta un’esperienza diplomatica
e amministrativa che le aveva precedute, di cui rimangono testimonianze in più
di seimila lettere e in una decina di scritti politici minori. È un po’ come se
per conoscere un palazzo dalla struttura complessa se ne seguissero tutte le
tappe della costruzione».
Più precisamente quale è il contenuto di questi saggi e che cosa si è proposto
di fare in questi due volumi?
«In questi volumi ho studiato soprattutto come Machiavelli si sia ispirato agli
autori dell’Antichità per elaborare la sua teoria del potere e come abbia
confrontato gli eventi del passato con quelli del presente per evidenziare una
continuità attraverso i secoli di certi comportamenti, e in fin dei conti per
formulare delle regole utili alla sopravvivenza di uno Stato. Un altro filone di
ricerche è stato quello di studiare come 15 anni dedicati all’amministrazione
della Repubblica fiorentina e a missioni diplomatiche in vari Stati europei,
presso papi, re, imperatori e principi, abbiano permesso a Machiavelli, almeno
quanto lo studio degli autori dell’Antichità, di elaborare una teoria della
politica. Una terza direzione di indagine è stato quella di ritrarre dalle
lettere private, inviate ad amici e parenti, notizie sui suoi stati d’animo,
sulle sue riflessioni e sulla nascita delle opere politiche e letterarie. Un
ultimo filone è stato quello di spiegare come la figura di Machiavelli sia
venuta modificandosi attraverso i secoli: da creatura diabolica nel Cinque e
Seicento, a nemico dei principi assoluti nel Settecento, a ispiratore dell’unità
nazionale nell’Ottocento, per giungere ad una rappresentazione più equilibrata
e più approfondita negli studi degli ultimi due secoli».
Dopo questi cinquanta anni «machiaveliani», su quali punti Machiavelli le
appare diverso da come lo vedeva la critica quando ha cominciato a occuparsene?
«Machiavelli, sia che se ne studi l’evoluzione del pensiero prima delle grandi
opere politiche (Il Principe e i Discorsi), sia che lo si interpreti
all’interno di esse, appare come un pensatore che ha elaborato un modello politico
nuovo, basato non sull’ideale, la morale, ma sull’efficienza. Da ciò che ha
studiato e ha potuto constatare, solo uno Stato retto dalla Realpolitik (la politica del realismo e
non dell’ideale) e difeso da un forte esercito di milizia può sopravvivere in
un mondo fatto di rivalità spietate. Tuttavia Machiavelli non è un pensatore che
ha solo certezze (tipo: “il fine giustifica i mezzi”) e che elabora un denso
trattato scientifico: l’aspetto interessante è che lascia sempre ampio spazio
al dubbio, all’incertezza, alla propria capacità di rimettere in discussione le
regole politiche che ha appena formulato. Machiavelli ha anche delle doti
innate di narratore e di uomo di teatro. E queste qualità che si riveleranno più
tardi nelle sue celebri opere teatrali come La
Mandragola o nei suoi racconti, le mette già in atto nella sua attività diplomatica
di gioventù, quando nelle lettere che invia a Firenze rappresenta, nei loro
gesti e nelle loro parole, i personaggi illustri che incontra, che siano re,
papi, principi, condottieri o prelati, come in una rappresentazione teatrale.
In Machiavelli in fondo coesistono sempre due nature: da una parte quella
seria, quasi tragica, perché vive in un periodo di incertezze politiche e di
guerra (le guerre d’Italia con un Paese devastato dagli eserciti francesi e spagnoli)
e perché cerca con il massimo impegno di definire quale potrebbe essere il
migliore governo sia per Firenze, sia per qualsiasi Stato monarchico o
repubblicano; e dall’altra quella burlesca, gaia, irrisoria, canzonatoria.
Questo appare con evidenza nella varietà delle sue opere: i trattati politici e
storici da una parte, le commedie e i racconti fantasiosi dall’altra; ma lo si
vede anche nella sua corrispondenza, in cui nella stessa lettera passa da un registro
all’altro. In una di esse scrive addirittura che è una prova di saggezza
conoscere e sperimentare in ugual modo queste due facce del mondo e della
natura umana».
Data recensione: 05/03/2019
Testata Giornalistica: Corriere del Ticino
Autore: Matteo Airaghi