C’è chi fotografa «quello che c’è». E chi «quello che cerca ». Carlo Cantini appartiene a questa seconda scuola
C’è chi fotografa «quello che c’è». E chi «quello che cerca ».
Carlo Cantini appartiene a questa seconda scuola: «Il corpo umano è ciò che mi
attrae e mi coinvolge di più. Sia esso vivo, sia rappresentato in scultura. Sia
fermo che in movimento, dipende dalla forma – racconta il maestro fiorentino classe
1936 – E con esso la confusione tra ciò che è vivo e ciò che non lo è, in un
continuo incontro tra queste due dimensioni». È questo approccio che fa di
Cantini un artista del tutto originale nel campo della fotografia
contemporanea: «Non sono uno che fotografa la realtà che trova, io fotografo
quello che penso. Tutti gli scatti che ho realizzato in mezzo secolo li ho
cercato con un atto di volontà». Basterebbe questa suggestione per accendere
curiosità e fantasia nella mostra che si apre domani alle 17 a Villa Bardini: Carlo Cantini. Tra realismo e immaginario.
Settanta immagini che rimarranno esposte fino al 17 marzo. Con lo stesso
maestro che sarà presente all’inaugurazione. «Sono partito dalle esperienze degli
anni Cinquanta e Sessanta, quando da ragazzo non avevo ancora capito che tipo
di fotografo volevo essere ma – racconta – già lavoravo in una zincografia e facevo
i cliché per la stampa». La foto iniziale, quella che dà origine a tutta la
«storia» raccontata nella mostra – perché di storia si tratta, la sua è una
narrazione, scatto dopo scatto – ritrae una coppia che a Firenze guarda nel
vuoto in una giornata di nebbia. «Da quella ho iniziato a cercare altri
soggetti: ragazzi, bambini, un uomo che pesca dalla spalletta dell’Arno, poi
nel 1968 sono diventato professionista, ho aperto lo studio in Santo Spirito e
il mio primo cliente è stato Piero Pananti della Galleria Pananti, che mi ha
aperto al rapporto con l’arte, mi ha fatto conoscere Montale e altri poeti che frequentavano
la galleria». È in quel momento che lo sguardo del giovane Cantini si è
concentrato sull’arte, ha incontrato Burri, Rauschenberg, Liechtenstein, «ho
viaggiato per il mondo e ho allargato lo sguardo». La sintesi di questo percorso
può essere rappresentata dalla fotografia che nel giardino di Boboli «immagina»
una storia d’amore tra un uomo nudo che gira tra le statue in cerca della sua
Venere. «Ero andato oltre la documentazione per entrare nell’interpretazione, nel
mio immaginario e non mi sono più fermato, andando sempre in cerca di storie
d’amore che nascevano nei giardini ma prima ancora nella mia fantasia». Di Firenze
poi vediamo anche alcuni significativi cambiamenti culturali come quello del
teatro negli anni ‘70 che Cantini racconta con i divi del palco che si
esibivano nei bagni pubblici o nei macelli per il bestiame: «Non si vede la
città che cambia nelle mie foto, ma si vede come noi siamo cambiati».
Data recensione: 24/01/2019
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Edoardo Semmola