Che fosse un tipo originale si vedeva subito. Ultraottantenne, vitale e pimpante con baffi, barba, capelli lunghi
Che fosse un tipo originale si vedeva subito.
Ultraottantenne, vitale e pimpante con baffi, barba, capelli lunghi, sguardo
indagatore, nel giardino della sua villa a Fiesole indicava una specie di
costruzione rettangolare tra fiori, galli, galline e diceva: «Ecco, io sarò
seppellito qui, in casa mia». Poi nello studio mostrava orgoglioso i suoi
disegni. Geometrie. Forme armoniche dagli accostamenti vistosi e azzeccati,
verdi, viola, neri. E titoli poetici: Donna
nel bosco, 1984-1988, Pierrot lunaire,
1985.
Erano gli ultimi gridi o palpiti di un pittore che aveva attraversato tutto il
Novecento e molti dei suoi movimenti rimanendo sempre se stesso. Un mago del
colore, forte, brillante, costruttivo. A ricordare oggi Primo Conti, nato a
Firenze nel 1900 e lì morto nel 1987, è una ricca mostra nella città natale, Fanfare e silenzi. Viaggio nella pittura di
Primo Conti, in corso sino al 13 gennaio, a Villa Bardini, e in altre due
sedi a Fiesole, la Fondazione Primo Conti e la Sala del Basolato. Curata da
Susanna Ragionieri (catalogo Pagliai Polistampa) riunisce quasi 150 opere di
Conti e contemporanei nelle due prime sedi, mentre nella terza sfilano immagini
biografiche.
Enfant prodige, Conti, ottimo violinista a dieci anni, a tredici ha già uno
studio di pittura in Piazza Savonarola a Firenze. Vede e frequenta mostre
futuriste e incontra Soffici, Marinetti, Papini, Carrà, artisti e letterati.
Dipinge opere coloratissime, fauves e
secessioniste, dal sapore vagamente alla Matisse o alla Cézanne, come Vecchio col turbante bianco, del 1913, Allegoria, Autoritratto con sciarpa, entrambe del 1914; Arlecchino e Autoritratto con
accappatoio del 1915. Un capolavoro è il Nudo di ragazzo dello stesso 1915, in cui si coglie la freschezza e
l’entusiasmo giovanile per la pittura francese, da Soutine a Kokoschka a
Gauguin.
Sono sperimentazioni geniali, attente alla contemporaneità, come notava
Palazzeschi. L’artista ventenne conosce futuristi e macchiaioli, la pittura drammatica
di Lorenzo Viani e la decorativa di Galileo Chini, la metafisica di De Chirico.
Scrive raccolte poetiche e fonda riviste. È immerso nella vivace cultura del
tempo e costruisce col colore immagini solide come Donna e cocomero del 1915, che ricorda Viani. È il momento del
«delirio selvaggio», come scriveva, di paesaggi e nature morte sintetiche e
incisive. È il periodo di Viareggio e della Versilia.
Mentre la tela con Il limonaro del
1919, firmata in basso a sinistra, è considerata dallo stesso artista
metafisica.
Nel suo libro La gola del merlo del
1983 ne racconta la genesi nelle stanze vuote della casa ad Antignano: «Ero
partito con una costruzione di forme molto disciplinata nei suoi valori
contemplativi: poi, ad un certo momento, mi venne un bisogno quasi selvaggio di
animarla mettendoci sopra occhi, naso, bocca e una grande pipa bianca […].
C’era in questa specie di Metafisica uscita dal Futurismo come un urlo, un
rigurgito da bassa plebe che la rendeva diversa da quella di De Chirico…».
È solo l’inizio di una lunga e complessa strada piena di svolte.
Data recensione: 10/12/2018
Testata Giornalistica: Il Giornale Off
Autore: Maurizia Tazartes