Nel clima effervescente di un’arte contemporanea che anche a Firenze, a partire dagli anni 60 del 900
A Fiesole le opere dell’eccentrico artista dalla visione
fantastica della realtà
Nel clima effervescente di un’arte contemporanea che anche a
Firenze, a partire dagli anni 60 del 900 cercava nuovi sbocchi e altre
coniugazioni, si colloca il nome di Giuliano Ghelli (scomparso nel 2014),
artista “eccentrico e individualista”, nel senso di una ricerca che, pur nel
solco delle così dette avanguardie, evitava le facile etichette e lo schematico
inquadramento. Ne è testimonianza la mostra aperta a Fiesole, nella Sala del
Basolato, a cura di Mirella Branca, che presenta un Ghelli inedito,
dialetticamente erudito fra gioco e forma, lungo un itinerario ventennale, dal
1963 al al 1983, declinato in una cinquantina di opere. La contemporaneità di
Ghelli è vivace, giocosa, altamente spregiudicata quanto delicatamente
eversiva. Compagni di viaggio sono le fascinazioni pop di un’arte senza
connotati, che produce immagini e oggetti di nuova figurazione, frammentata e
futuribile, poetica nella cornice e tecnologica nella composizione, in sintonia
con le tendenze dell’epoca, quando il Belpaese si apriva alla cultura di massa,
nel contesto di una piena fiducia nei ritrovati della scienza (non è un caso se
nel 1963 il Nobel per la chimica andrà a Giulio Natta per le sue “scoperte nel
campo dei polimeri", come a dire per aver inventato la plastica). Ghelli
espose in quegli anni in mostre collettive nelle sedi di Firenze e di Milano
della galleria “Numero” di Fiamma Vigo, luogo di incontro delle più moderne
tendenze, respirando nel decennio successivo, il clima fiorentino reso fervido
dalla presenza di gallerie che coltivavano il gusto delle avanguardie. E
siccome erano gli anni della “Immaginazione al potere”, Ghelli contempla una
visione della realtà in chiave fantastica, stimolata tra l’altro dal mondo
della fantascienza, un genere estremamente popolare, alimentato dal cinema, dal
fumetto, dalla letteratura. Come attestano i pezzi robotici ispirati ai romanzi
di Isaac Asimov, lettere o cerchi, segni o forme, giunture meccaniche e
dinamiche frecce direzionali, colori intenzionalmente privi del loro carattere
pittorico, un mondo tendente all’astratto, sagome dotate di vita autonoma e
divenute forme oggettuali, tracce di un racconto favolistico, come nei suoi
“Portapaesaggi”, fatti di ruote, segnali stradali, binari, grattacieli. Aperta
fino al 20 maggio. Catalogo Polistampa. Ingresso libero.
Data recensione: 19/04/2018
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: Gabriele Rizza