Nella tutt’altro che composita querelle sui rapporti tra Fascismo e cultura, la figura e il ruolo di Luigi Pirandello
Nella tutt’altro che composita querelle sui rapporti tra Fascismo e cultura, la figura e il ruolo
di Luigi Pirandello meritano un’attenzione particolare. Si tratta,dopo tutto,
del massimo drammaturgo italiano del tempo, insignito nel 1934 del Premio Nobel
per la letteratura, che sin dal settembre 1924 (quando ancora non erano sopiti
gli effetti del delitto di Matteotti) aveva chiesto a Mussolini l’iscrizione al
PNF e, alcuni mesi più tardi, nell’aprile 1925, aveva firmato «Manifesto degli
intellettuali fascisti». Due particolari che se da un lato appaiono
inequivocabili, non possono dall’altro esaurire da soli la questione del
rapporto di Pirandello con il Fascismo. Sarebbe in realtà servita una biografia
politica, proprio quella prospettata sin dal sottotitolo del saggio di Ada
Fichera, giornalista presso lo Stato Maggiore della Difesa; un’attesa andata in
parte delusa, se l’impianto del volume è sì imperniato su una corretta
ricostruzione biografica, ma lascia indubbiamente poco spazio a considerazioni
di natura più propriamente politica. D’altronde, è pur vero che Pirandello
stesso non avrebbe mai fatto mistero della propria estraneità «mentale» alla
politica, spiegando l’adesione al Fascismo come un aiuto alla«sua opera di
rinnovazione e di ricostruzione»; così come la sua propensione per la figura di
un «monarca illuminato», oltre ad attagliarsi all’immagine del Duce, confermava
la sua sfiducia nella socialdemocrazia e nel liberalismo. «Quando il potere è
in mano di uno solo- farà dire Pirandello a Mattia Pascal- quest’uno sa di
essere uno e di dover contentare molti; ma quando i molti governano, pensano
solo a contentare se stessi e si ha, allora, la tirannide più balorda e più
odiosa: la tirannia mascherata da libertà». Se l’ammirazione di Pirandello per
Mussolini fu sincera, e senza dubbio ricambiata (anche se il Duce gli
rimprovererà, parlando con l’attrice Marta Abba, un «brutto carattere),
maggiori difficoltà avrebbe incontrato il suo progetto per la creazione di un
Teatro di Stato, che pure aveva goduto dell’appoggio di Mussolini e di Bottai.
Frenato (e poi di fatto affossato), quel progetto, da pressanti problemi
economici e di politica internazionale, ma soprattutto dalla scelta fatta dal
Regime a favore del cinema, alla fin fine ritenuto un’arma propagandistica di
più diretta presa sulle masse rispetto al teatro.
Data recensione: 01/04/2018
Testata Giornalistica: Storia in Rete
Autore: Guglielmo Salotti