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Mario Bernardi Guardi, giornalista e scrittore, da sempre affascinato dalla cultura moderna e contemporanea nei suoi percorsi controcorrente, ha pubblicato saggi su scrittori

Mario Bernardi Guardi, giornalista e scrittore, da sempre affascinato dalla cultura moderna e contemporanea nei suoi percorsi controcorrente, ha pubblicato saggi su scrittori e pensatori della Mitteleuropa, così come su Nietzsche e Jünger, le riviste del Novecento, il movimento fascista, la memorialistica della Repubblica Sociale Italiana, l’universo simbolico di Borges. Collaboratore di numerosi quotidiani e riviste - attualmente firma soprattutto per Libero, Il Tempo, il Corriera della Sera-Corriere Fiorentino -, conferenziere e organizzatore culturale (ha diretto l’Accademia dell’Ussero e ha coordinato gli appuntamenti della “Versiliana”), ideatore di rubriche di storia e varia umanità per quotidiani, periodici e per la RAI, di recente è stato nominato Presidente del Premio “Acqui Storia” (Sezione del Romanzo Storico). Per quanto qui interessa, è bene ricordare che nel 2007 ha dato alle stampe il volume Fischia il vento ed urla la bufera perché portiamo la camicia nera (Storia dalla parte sbagliata), edito da Pagine. Ci ha concesso questa intervista per i lettori de Il Borghese, che già lo conoscono come collaboratore. relativa al recente romanzo Fascita da Morire (Mauro Pagliai Editore). Il volume è una storia “della e dalla parte sbagliata”. Giampaolo Pansa lo ha definito: “Un libro straordinario e disperato”.
Ringraziamo l’autore per la disponibilità. Le vicende del romanzo hanno inizio nell’agosto del 1944 a Firenze, città insanguinata dalla Guerra Civile. Protagonisti i giovani fascisti che salgono sul tesso e aprono il fuoco sui partigiani e “liberatori”. Sono consapevoli della prossima fine del regime e della loro esistenza. Nonostante ciò, vivono intensamente. Si evince dal narrato del protagonista, Mario. Forse perché, come si legge nell’ultima pagina (p.199), hanno contezza che l’esempio è un seme pronto a germogliare?
“Non so se in loro ci sia questa consapevolezza. Io stesso che ne parlo e li “rappresento” lascio senza risposta questo ed altri interrogativi. So che combattono per il fascismo e per Mussolini, “nonostante”. Nonostante quello che non è stato fatto o è stato fatto male, questi giovani avvertono d’istinto che “gli altri sono peggio”, come dice Berto Ricci e come ripete a se stesso Mario. Gli altri sono peggio perché amano l’Italia molto meno dei fascisti. O addirittura non la amano. I franchi tiratori non sono santi. Sparano per uccidere. Fanno parte, nell’immaginario del protagonista, del popolo dei “Pèrsi”, angeli strani che sventolano insegne di un insolito colore, un po’ nero e un po’ rosso, come il “color pèrso” che avvolge i lussuriosi Paolo e Francesca nel canto V dell’Inferno. Dante, in qualche modo, li sente vicini perché, se molto hanno peccato, molto hanno amato. E questo eccesso affascina e commuove.
“I franchi tiratori, Mario, sono questi amanti ardenti e disperati, che vogliono vivere la crucialità degli ultimi giorni: il breve, folgorante tempo in cui la vita, l’amore, la morte, la passione politica, la poesia, la giovinezza sono la stessa cosa. Dare un esempio significa, prima di tutto, rendere onore a un patrimonio di idee e di immagini, di memorie e di sogni che costituiscono un elemento tanto vitale da potergli, paradossalmente ma non troppo, sacrificare la vita.”
Data recensione: 01/06/2016
Testata Giornalistica: Il Borghese
Autore: Giovanni Sessa