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Ho sempre pensato ad Arezzo come a una rosa dei venti, come a uno strumento di precisione che indica, ai quattro punti cardinali, le direttrici di quella stagione delle arti

“In terra di Arezzo”, una mostra lungo le vie dei maestri Ho sempre pensato ad Arezzo come a una rosa dei venti, come a uno strumento di precisione che indica, ai quattro punti cardinali, le direttrici di quella stagione delle arti che i manuali chiamano del Rinascimento.
Facciamo centro al campanile del duomo, a quella meridiana di Toscana che già Piero della Francesca, nel paesaggio che fa da sfondo ai murali della Vera Croce, indicava come fuoco prospettico e simbolico della città. È da lì che bisogna partire per capire la storia e il destino di Arezzo.
Da lì, come le nervature di una foglia, si dipartono le valli che percorrono questa parte d’Italia. C’è verso ovest la Val d’Arno con San Giovanni e con Masaccio. A un certo punto, sostando nella piazza del paese che ha dato i natali al pittore, vi accorgerete che il Pratomagno incombe su di voi proprio come le montagne che stanno dietro al Tributo nella cappella Brancacci al Carmine. Non vi servirà altro per capire quello che Masaccio ha significato nella storia delle arti in termini di conquista della verità, maestà e profondità del vero visibile.
Muovetevi verso nord ed ecco il Casentino con La Verna, con Camaldoli; foreste di faggi e di abeti, antiche storie italiane di lupi, di briganti, di anacoreti, la spiritualità di san Francesco e l’umanesimo cristiano di Ambrogio Traversari.
A est c’è la Valtiberina e la strada vi porterà verso Monterchi e verso Sansepolcro. Siete entrati nel raggio di Piero della Francesca.
«In San Francesco è Piero e il suo giardino […] come di fronte ad un giardino profondo io stetti, o Piero della Francesca…» aveva scritto Gabriele d’Annunzio, esprimendo con più efficacia di quanto non saprà vent’anni dopo Roberto Longhi, il concetto di “sintesi prospettica di forma- colore”.
Il viaggiatore che, poco dopo la città murata di Sansepolcro, taglierà a sinistra per i tornanti della montagna appenninica che divide la Toscana dalle Marche, si accorgerà, attraversati Sant’Angelo in Vado e Urbania, che la civiltà prospettica di Piero della Francesca, l’ordine e la luce colorata che governano le storie della Croce nel San Francesco aretino e la Madonna del Parto di Monterchi, vivono nella facciata del Palazzo Ducale di Urbino che vi apparirà come un miracolo dopo l’ultima curva...
Data recensione: 15/06/2012
Testata Giornalistica: QN - Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno
Autore: Antonio Paolucci