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Altro che maggiordomo. Ben prima che scoppiasse il caso Vatileaks, la fuga di documenti riservati della Santa Sede che ha portato in cella l’addetto alla camera del Pontefice, Paolo Gabriele

In libreria ‘Le orecchie del Vaticano’, cronache su sei Papi Città del Vaticano

Altro che maggiordomo. Ben prima che scoppiasse il caso Vatileaks, la fuga di documenti riservati della Santa Sede che ha portato in cella l’addetto alla camera del Pontefice, Paolo Gabriele, il Vaticano era teatro di spie, furti di carte segrete, personaggi ambigui che si muovevano tra il giornalismo e i servizi d’informazione italiani. E mentre i contorni della vicenda Vatileaks sono ancora incerti, una carrellata a tratti esilarante viene proposta dal giornalista Bruno Bartoloni, ‘vaticanista’ per 45 anni dell’Agence France Presse, nonché figlio del primo vaticanista della storia, in un libro di memorie fresco di stampa ‘Le orecchie del Vaticano’ (Mauro Pagliai editore). “La prudenza era la regola a quei tempi. Le spie erano ovunque”, si legge nel capitolo dedicato al frangente nel quale, durante la seconda guerra mondiale, un gruppo di ambasciatori accreditati presso la Santa Sede si installò all’interno delle mura leonine. “Il povero ambasciatore Osborne non si rese conto che il maggiordomo assunto nel 1943 glielo aveva rifilato il Sim, il Servizio informazioni militari italiano. Secondo le istruzioni ricevute, questi, un italiano, rubò dal suo nascondiglio tutto il materiale attinente al cifrario in possesso del diplomatico, mentre il suo padrone era uscito per portare a spasso il cane. Poi lo consegnò a un agente del Sim che ne fotografò i contenuti. Resosi conto che i suoi messaggi indirizzati a Londra non erano ‘sicuri’, Osborne rese la pariglia agli avversari, inserendo nei suoi dispacci al ministero degli affari esteri affermazioni false e fuorvianti, sapendo che sarebbero stati letti dagli italiani. Questi telegrammi volutamente menzogneri sono ancora conservati al Public Record Office e rappresentano una trappola per gli storici alle prime armi”. Citando, in particolare, le ricerche del gesuita americano Robert Graham, “lo 007 del Papa”, Bartoloni prosegue così il suo racconto: “Il più ingenuo degli ambasciatori rifugiati in Vaticano fu probabilmente il giapponese Ken Harada. Se ne andava tranquillo a giocare a golf con l’ambasciatore di Cina dietro la basilica, senza sapere che il suo codice era stato da tempo decifrato dagli americani. Quasi tutti i suoi dispacci inviati e ricevuti furono intercettati. Padre Graham ha potuto leggerli nella sezione Magic dell’Archivio Nazionale di Washington. L’ambasciatore tedesco Weizsaecker, fintanto che rimase a Roma, era ovviamente abbastanza protetto, benché il controspionaggio britannico fosse già in possesso dei segnali di chiamata dell’ambasciata, frutto d’intercettazioni del trasmettitore del ministero degli esteri di Berlino. Quando dovette rifugiarsi in Vaticano dopo l’occupazione alleata di Roma nel giugno 1944, le cose cambiarono. Le forze britanniche installarono un posto d’ascolto proprio di fronte alla sua abitazione. La loro posizione, a pochi metri di distanza sulla via Aurelia, rendeva il compito d’intercettazione molto semplice. L’assurdo piano di pace che il ministro degli Esteri Ribbentrop gli aveva chiesto di presentare al Vaticano, era stato captato prima ancora che l’ambasciatore potesse parlare con il cardinale segretario di Stato. La migliore rete di agenti a Roma l’aveva messa in piedi al servizio di Himmler il colonnello Herbert Kappler, il responsabile delle Fosse ardeatine che aveva tra l’altro fatto installare una potente stazione di ascolto su Monte Cavo, sopra Castel Gandolfo. Il controllo attorno a Papa Pacelli era così stretto che per parlare in tutta sicurezza con il generale Simon, poi trucidato alle Ardeatine, staccò perfino la cornetta del suo telefono bianco, come rivelò la figlia del generale. Che il cifrario vaticano fosse ormai conosciuto, monsignor Montini ne era perfettamente consapevole. Il 25 luglio 1943 annotava che nel caso di trattative, queste non dovevano essere condotte per cifra: ‘I tedeschi captano tutte le onde e conoscono tutte le cifre; si dovrebbe mandare una persona, con un aeroplano’. Ne era in possesso anche il Sim. Secondo Carlo De Risio, autore di uno studio su generali, servizi segreti e fascismo, l’agente che riuscì a entrare in possesso del codice cifrante del Vaticano, ‘restò interdetto nel leggere sul frontespizio di un dispaccio la sanzione di scomunica comminata contro chi anche soltanto detenesse il documento senza autorizzazione’”. “Nel 1942 – prosegue Bartoloni – si scoprì che perfino il capo dei servizi di sicurezza del Vaticano, Giovanni Fazio, in codice Tassara, genero del colonnello della Gendarmeria pontificia Arcangelo De Mandato, era un informatore dell’Ovra”, la polizia segreta dell’Italia fascista. “Fu subito rimosso perdendo anche la cittadinanza vaticana. C’erano poi organizzazioni integraliste che, di fatto, affiancavano i servizi italiani. Una di queste era il Sodalitiutm pianum o Lega di San Pio V che si premurava di segnalare gli ecclesiastici in ‘odore di modernismo’ e che era stata creata da monsignore Umberto Benigni, inizialmente con l’accordo di Pio XII. La sua segretaria, Bianca D’Ambrosio, aveva il nome Didone nella lista dell’Ovra. Dopo la guerra si apprese che anche uno dei vicedirettore del giornale vaticano, Cesidio Lolli, era sospettato di doppio gioco. Da parte sua l’assistente ecclesiastico del giornale, monsignor Mario Bohem, veniva allegramente controllato dal suo segretario Carlo Bronzini, alias ‘Calò n. 303’. Monsignor Bohem era in ogni caso colpevole di ave introdotto in Vaticano un certo Virgilio Scattolini, un troppo brillante giornalista che poi si rivelò essere un agente dell’Ovra e uno ‘spacciatore impareggiabile di notizie false o inventate sul Vaticano’, come l’ha definito padre Graham. I dispacci riservati di Scattolini non solo sono stati utilizzati dai più grandi media mondiali, dall’Associated Press al ‘New York Times’ all’agenzia Havas, ma finirono anche sulle scrivanie di Churchill, di Roosvelt e di Stalin. Ricordo benissimo Aldo Forte dell’United Press, un simpatico e rotondo collega che finì per perdere il posto perché aveva dato troppo credito a Scattolini”.“Una cosa era certa, all’epoca: i telefoni erano controllati sia dall’esterno che all’interno. Mio padre annunciò una volta a Max Bergerre che il giorno dopo sarebbe ‘scoppiata la bomba’, in sostanza che Pio XII avrebbe pronunciato un attesissimo discorso. All’uscita del cancello di Sant’Anna, oltre il confine vaticano, fu preso sotto le ascelle da due agenti come Pinocchio e portato in questura. Per farlo rilasciare dovette intervenire Bergerre a spiegare il vero senso della telefonata. Quanto al vecchio Cesidio Lolli, è difficile stabilire i confini fra lo spionaggio e la collaborazione con media sospetti. Per molti anni nel dopoguerra fu pagato dall’agenzia americana United Press ed era certamente in grado di avere in anticipo i discorsi dei papi o i documenti destinati a essere pubblicati dall’Osservatore romano. Ai tempi di Pio XII era incaricato di andare a prendere materialmente i tesi dei suoi discorsi dalle mani del papa che poi lo chiamava al telefono per le ultime correzioni. Si diceva che ricevesse in ginocchio le correzioni dettate dal pontefice. Non l’ho mai visto così bene benché lo frequentassi con mio padre abbastanza regolarmente. Ma non era una leggenda. C’era chi lo aveva visto inchinato davanti alla scrivania con la cornetta in mano. Come non era una leggenda il fatto che una volta Papa pacelli lo avesse chiamato per bloccare un discorso. Cesidio Lolli non ebbe il tempo di mettersi in ginocchio ma solo di esclamare ‘Niente discorso?’, al che mio padre, presente senza sapere chi fosse l’interlocutore, replicò con una delle sue sonore pernacchie delle quale era maestro indiscusso”. Il libro di Bartoloni ‘Le orecchie del Vaticano’ intreccia in realtà ricordi e aneddoti di cronaca vaticana con la storia della famiglia della madre, ebrea tedesca i cui nonni e genitori finirono in gran parte sterminati nei lager nazisti. “Guardato con sospetto nel mondo curiale per il suo atteggiamento scanzonato”, si legge nella quarta di copertina, “Bartoloni vanta un’esperienza unica e irripetibile. Nato praticamente in Vaticano, dove suo padre è stato il pioniere dei ’vaticanisti’ fin dagli anni Venti, sua madre lo allattava nei giardini e lui stesso giocava da monello, Bartoloni ha seguito come giornalista il regno di sei papi. Testimone diretto della corruzione che accompagnò la fine di Pio XII, ha attraversato Roma sul predellino dell’auto di Giovanni XXIII, ne ha raggiunto l’appartamento pochi minuti dopo la sua morte, è stato arrestato dai gendarmi all’ingresso del conclave, ha dato per primo l’annuncio del Concilio. Ha viaggiato da clandestino in un aereo con Paolo VI, ha intervistato al telefono Giovanni Paolo I appena eletto, ha rubato gli sci di Giovanni Paolo II (ma glieli ha restituiti). Figlio di un’ebrea tedesca e di un giornalista italo-argentino, il cui passaporto lo ha certamente salvato a Roma dalle razzie naziste, Bruno Bartoloni è collaboratore del ‘Corriere della sera’ dal 1975, ha lavorato e scrive per moltissimi quotidiani e settimanali italiani e stranieri”. Gli episodi di fughe di notizie dal Vaticano, in realtà, sono molteplici. Bartoloni racconta non solo la nota vicenda del dottor Galeazzi Lisi, ‘archiatra pontificio’, che - forse perché aveva “bisogno di alimentare la sua passione per il gioco d’azzardo” – vendeva ad un gruppo di cronisti le informazioni sulla salute di Pio XII (e una volta scoperto, ma non cacciato, arrivò a vendere anche le fotografie del cadavere del Pontefice pochi minuti dopo la morte). Significativo in questo senso anche il capitolo che dà il titolo al libro. “In Vaticano i muri hanno orecchie”, si legge. “I monsignori sussurrano discretamente i loro pensieri. In realtà la tradizione del sussurro in Vaticano non è molto antica. Non ha forse più di un secolo di vita”. La spiegazione “è semplice: i grandi palazzi romani e forse non solo romani sono ricchi di ambienti spettacolari affrescati spesso da grandi maestri. Erano certamente gradevoli d’estate. Un po meno d’inverno, quando dovevano essere riscaldati con i bracieri curati da un’abbondante servitù. In ogni caso, finiti i tempi delle grandi fortune, seguiti da criteri più razionali di abitazione, i giganteschi saloni si sono rivelati disastrosi per i loro inquilini. Un esempio tipico è palazzo Farnese dove l’ambasciatore di Francia è costretto ad abitare i ambienti divisi da pareti di legno. Lo stesso è avvenuto nei palazzi apostolici dove la Segreteria di Stato, agli inizi del XX secolo, venne organizzata in ambienti divisi da fragili pannelli di compensato resi dignitosi da parati di damasco rosso. Con sorpresa degli uscieri della Segreteria, dopo una lunga attesa nelle anticamere, i giornalisti e i diplomatici che avevano chiesto di essere ricevuti dal sostituto o dai suoi collaboratori rinunciavano spesso al colloquio. Il motivo non era la scarsa pazienza ma le sottili pareti di compensato che permettevano di ascoltare tutto quelo che si diceva negli uffici. La cosa poco a poco si venne a sapere e i prelati si resero conto che quanto raccontavano dietro le loro scrivanie poteva essere ascoltato anche negli uffici vicini. Il sussurro divenne la regola”.
Data recensione: 12/07/2012
Testata Giornalistica: TMNews
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