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In occasione del discorso tenuto il 31 ottobre 1992 ai partecipanti alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, Giovanni Paolo II disse tra le altre cose: “A partire dal secolo dei Lumi fino ai nostri giorni, il caso Galileo ha costit

In occasione del discorso tenuto il 31 ottobre 1992 ai partecipanti alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, Giovanni Paolo II disse tra le altre cose: “A partire dal secolo dei Lumi fino ai nostri giorni, il caso Galileo ha costituito una sorta di mito, nel quale l’immagine degli avvenimenti che si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà. In tale prospettiva, il caso Galileo era il simbolo del preteso rifiuto, da parte della chiesa, del progresso scientifico, oppur dell’oscurantismo ‘dommatico’ opposto alla libera ricerca della verità. Questo mito ha giocato un ruolo culturale considerevole; esso ha contribuito ad ancorare parecchi uomini di scienza in buona fede all’idea che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca, da un lato, e la fede cristiana, dall’altro. Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede. Le chiarificazioni apportate dai recenti studi storici ci permettono di affermare che tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato”.
Un ulteriore significativo contributo per consegnare al passato non il caso Galileo, si badi bene, ma il doloroso malinteso che da esso è derivato, proviene da questo splendido volume opera di Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, grande conoscitore della vita e dell’opera del geniale scienziato pisano. La preziosità del contributo dipende dal fatto che il libro presenta al lettore  una ricostruzione accurata e solidamente basata su una documentazione di primissima mano (riportata nell’appendice del volume) delle tappe salienti della celebre e sofferta vicenda, che nel volger di 17 anni circa condusse Galileo dalla stima unanime e dalla notorietà straordinaria – il tedesco Lucas Holste, allora bibliotecario vaticano, non esitò a definirlo “divin uomo” – al convento romano di Santa Maria Sopra Minerva ove, la mattina del 22 giugno 1633, attorniato dai cardinali inquisitori, egli pronunciò in ginocchio la sua abiura solenne, dopo aver preso atto della condanna del copernicanesimo da lui tanto evidentemente difeso. Si tratta – dicevamo – di un contributo di grande privilegio, utile a fugare le ombre che ancora dovessero incombere sul caso Galileo, il che, come sapeva bene e come affermò con chiarezza Papa Wojtyla, non significa occultare la verità, ma piuttosto farla emergere in tutta la sua forza, anche nel caso che ciò comporti difficoltà non piccole e pure non piccole sofferenze. Sempre durante il sopra ricordato discorso del 1992, Giovanni Paolo II ricordò che “Roberto Bellarmino, che aveva percepito la vera posta in gioco del dibattito, riteneva da parte sua che, davanti a eventuali prove scientifiche dell’orbita della terra intorno al sole, si dovesse “andar con molta considerazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie” alla mobilità della terra e “più tosto dire che non l’intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra”.
L’illuminato santo cardinale gesuita aveva compreso bene quale sarebbe stata la strada giusta da percorrere per evitare il “doloroso malinteso” e per evitare anche gli otto anni e sette mesi vissuti da Galileo nel domicilio coatto di Arcetri, in uno stato che Monsignor Pagano non esita a definire “di pochi studi, di timori, di privazione di amicizie, di penosa frustrazione”.
Data recensione: 31/03/2010
Testata Giornalistica: Il Foglio
Autore: Maurizio Schoepflin