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Fra le tantissime offerte, la certezza che un nuovo viaggio a Firenze garantirà la scoperta di un patrimonio sconosciuto e, se non avete visto cose simili a Parigi o Monaco di Baviera, le scoprirete in questa prima italiana

Fra le tantissime offerte, la certezza che un nuovo viaggio a Firenze garantirà la scoperta di un patrimonio sconosciuto e, se non avete visto cose simili a Parigi o Monaco di Baviera, le scoprirete in questa prima italiana assoluta.
Anche dispondendo solo di mezza giornata, salite in treno, perché via Faenza è praticamente alla stazione di Santa Maria Novella, ma non perdete lo straordinario regalo di Halloween della città.

All’ex Convento di Sant’Onofrio, un tempo refettorio delle terziarie francescane della Beata Angelina da Foligno, noto per l’Ultima Cena del Perugino,

da ieri al 6 gennaio 2009, è allestita la mostra Fantasia in convento. Tesori di carta e stucco dal Seicento all’Ottocento.

Un lavoro iniziato molti anni fa dalla ricerca di esemplari per un collezionismo curioso di un’appassionata storica dell’arte, Eve Borsook, che la sensibilità di Barbara Schleicher per l’oggetto d’arte ha istradato in direzioni poco note, arrivando a questo allestimento dove sono usciti dalle tenebre oggetti tenuti rigorosamente nascosti.
Va aggiunto il merito di Rosanna Proto Pisani, direttrice del Cenacolo di Fuligno, per aver intuito la potenzialità di questo argomento singolare e la sensibile competenza di Cristina Acidini così che la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Firenze ha promosso una occasione espositiva, realizzata da Eventi Polistampa con i finanziamenti di Axa Art Service Assicurazioni, Ente Cassa di Risparmio di Firenze e The Darcy and Treacy Beyer Foundations grazie ai quali l’ingresso è gratuito proprio per sensibilizzare e diffondere la conoscenza di opere povere per i materiali, ma ricchissime di fantasia.



Un collezionismo raffinato e di nicchia testimonia la nostra civiltà attraverso i papiers roulés e le paste di reliquie, manufatti sconosciuti, sconosciuti davvero, di cui, per gli esemplari italiani, si ignora la provenienza perché privi di tutela e con il reale rischio di disperderli nel mercato del privato perdendo uno "sconvolgente" settore del nostro patrimonio storico-artistico.

La mostra, è stata allestita in tre sezioni con una campionatura di oltre cento opere italiane, ma provenienti anche da Francia e Germania dove questi oggetti non sono stati segretati nei conventi e godono da tempo di considerazione e tutela.



A Cristina Acidini la parola per dettagliarci la storia di queste suppellettili e reliquiari religiosi che: " ... rinviano a un mondo tramontato di devozione diffusa, di scarse risorse e d’immensa creatività: la miscela da cui sono nate invenzioni strepitose di vario genere, come ad esempio l’uso della paglia al posto del filato d’oro in paliotti chiesastici dell’età barocca, o più in generale il ricorso a paste di vetro colorate e variegate in luogo di gemme e pietre dure. In queste suppellettili la struttura è modellata con impasti organici e gli ornati sono ottenuti con carta minutamente lavorata in un tripudio di volute e di cartigli, in gran parte rispondenti ai sontuosi repertori del Barocco e del Rococò: un’abbondanza di declinazioni fantastiche che stupisce. La sostanza umile di cui venivan fatti i reliquiari, però, si elevava grazie alla componente invisibile incorporata negli impasti, ovvero quella speciale farina che si era ottenuta triturando finemente le reliquie dei Santi. In un nodo semiologico di complicato scioglimento, il contenitore partecipa della natura del contenuto, mostrando i frammenti e nascondendo le polveri dei santi resti, detentori di un potere salvifico. È come se la santità stessa, prescindendo dai singoli santi, scendesse dalle sfere celesti per calarsi in forme simboliche nelle vicinanze dei fedeli, a portata di sguardi e quasi di mani. La semplicità feriale delle materie costituenti si riscatta dall’un lato nella tecnica sublime (che non è inferiore né troppo diversa rispetto a quella dedicata alle materie pregevoli e durature come i metalli e le gemme), dall’altro nella ricchezza del pegno sacrale racchiuso e diffuso nell’oggetto. È perfino inutile dire che questa devota usanza rimase circoscritta ad un limitato periodo storico, e che nel tempo ne è svanita la memoria. Oggi, chi digita in un motore di ricerca come Google certe parole-chiave (“ossa macinate”, “farina di ossa”, per esempio, o l’equivalente in inglese) trova informazioni datate ma non meno preoccupanti sull’alimentazione del bestiame bovino portatore del prione della TSE o, per dirla in termini comuni, del morbo della “mucca pazza”. Niente compare, che rimandi al trattamento delle reliquie dei santi in un tipo di suppellettile liturgica, evidentemente, dimenticato."


Come ben comprenderete non stavo esagerando quando accennavo a qualcosa di unico.

Ancora la Sovintendente per una intelligente provocazione dimostrando come da Firenze possano giungere messaggi culturali importanti se solo si volessero ascoltare: " Riprendiamoci Halloween’, potrebb’essere il titolo implicito e trasgressivo della mostra che, come si è deciso con la direttrice del Cenacolo di Fuligno, è stata inaugura la vigilia di Ognissanti, riconducendo alla sfera antica del sacro l’origine di atteggiamenti odierni. Perché di questo in fondo si tratta, di riportare nell’alveo di una storia antica e nostrale, dove s’intrecciano fede cristiana, religiosità popolare e antropologia culturale, manifestazioni macabro-giocose divenute ormai tipiche della società americana e da noi acriticamente re-importate, che hanno invece in ’zone’ della cultura corrispondenti a questi manufatti radici autentiche e profonde: dove la religiosità si esprime in modalità rituali arcaiche, e il valore spirituale si annette alla materia in una simbiosi inestricabile, che ha nella sostanza alimentare – farina o ’dolcetto’ che sia – il suo fondamento primordiale. E del resto, in certe regioni del Messico il periodo delle feste dei Santi e dei Morti (gli animati “giorni dello Xantolo”) ancora prevede l’offerta e il consumo di vivande fin nei cimiteri, in una esaltazione di usanze che avevano caratterizzato anche il nostro territorio, specie nelle parti più esposte al lascito ispanico. Da noi, dolci secchi e duri dal nome di “ossi di morto”, ricorrenti nelle tradizioni alimentari di Siena e Livorno ma anche nell’Italia Meridionale (per esempio in Basilicata), rappresentano la sopravvivenza estrema di un cibo rituale all’incrocio dei mondi: dei vivi, dei morti, degli eletti".

A conclusione di questa esaurente spiegazione, la dott.ssa Acidini ha evidenziato un ulteriore aspetto nel dichiarare di essere: "felice, per una volta, di poter esprimere la competenza nell’ambito “etnoantropologico” che l’intitolazione della Soprintendenza assegna, ma che di rado le circostanze quotidiane della tutela e della valorizzazione permettono di attivare, ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile questa mostra davvero speciale e il catalogo che ne serberà memoria".

Appunto il catalogo, edito da Polistampa con la maestria a cui siamo abituati, in formato maneggevole che non ne limita il valore, ma di indispensabile supporto durante la visita e, tornando alla mostra, nella prima sezione troverete papiers roulés, lavori con strisce di carta dorata e colorata, eseguiti con particolari arnesi e incorniciano immagini sacre o Agnus Dei (ovali formati dalla cera del cero pasquale dell’anno precedente, mescolata talvolta con le ceneri dei santi martiri).
La seconda sezione è dedicata alle paste di reliquie (rilievi in uno stucco speciale fatto di ossa tritate prelevate dalle catacombe romane con aggiunta di un legante, versato poi in una matrice per creare figure e rilievi con immagini e scene sacre dipinte con colori smaglianti e ornate di materie vitree luccicanti).
La terza sezione presenta esemplari in papier roulé e paste di reliquie di provenienza Paesi transalpini a testimonianza della loro diffusione nei conventi europei.

Come attestano studi recenti, le decorazioni che facevano da contorno alle piccolissime reliquie, avvenivano all’interno di comunità conventuali sia maschili che femminili, anche se è sensato ritenere come la maggioranza di queste composizioni fossero eseguite in conventi femminili di clausura.
La tipologia dei lavori denota un’ecumenicità sorprendente e caratteri stilistici assolutamente uniformi dove prevale la mano tipicamente femminile con doti non comuni di pazienza e di concentrazione.
Oltre la Fede, uno spiccato gusto di composizione che evidenzia la classe sociale di questi religiosi.

Tutte queste opere (messe a confronto con altre in argento, legno intagliato e tessuti ricamati) pur eseguite in conventi di clausura, attraverso i riccioli di carta dorata, i giardini del Paradiso, gli eleganti tempietti e altaroli che racchiudono, su fondi raffinati foderati di camoscio o di raso, le immagini sacre decorate da perline di vetro, paillettes, specchi, ci trasmettono il colore e la gioia della vita.

Concludo precisando perché non ho censurato, come di abitudine i termini non italiani, affidandomi al  virgolettato della dott.ssa Eve Borsook, tratto dal suo saggio ’Papier Roulé e le Paste di Reliquie’, che troverete in catalogo insieme a uleriori approfondimenti: "Per le opere eseguite in carta, il termine ideale per descriverle sarebbe ’filigrana di carta’, senonché, in italiano, questo termine si identifica con il marchio della cartiera che si trova nei fogli fabbricati a mano. Così, siamo costretti ad usare le parole francesi papiers roulés o paperoles".
Data recensione: 04/11/2008
Testata Giornalistica: Arte e Arti
Autore: Cinzia Colzi