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La Chimera non è una chimera. Nel senso che l’ibrido animalesco che è diventato sinonimo di un obiettivo irraggiungibile in realtà esiste...

La Chimera non è una chimera. Nel senso che l’ibrido animalesco che è diventato sinonimo di un obiettivo irraggiungibile (ovvero dei «mostri» creati in laboratorio dalle biotecnologie moderne) in realtà esiste, lo vedono ogni giorno decine di persone e sta lì su un piedistallo, ben piantato sulle sue zampe di bronzo. La Chimera è infatti quel misterioso e splendido manufatto etrusco che – essendo stato ritrovato ad Arezzo nel 1553 – è diventato il simbolo della città toscana, anche se in realtà oggi si trova a Firenze, nel museo archeologico. Se ne mette sulle oscura tracce appunto un fiorentino, il chimico Ugo Bardi, che da 10 anni intrattiene per passione il sito Internet più informato in materia e ora ha impresso nero su bianco i risultati delle sue ricerche ne Il libro della Chimera. Storia, rappresentazione e significato del mito (Edizioni Polistampa, pp.140, euro 13). Un po’ leone (anzi: leonessa, però con la criniera), un po’ capra (in greco quest’animale da giovane veniva chiamato proprio kimaira), un po’ serpente: nella coda. A quanto ne sappiamo, la chimera popola i miti almeno dal VII secolo a.C., epoca cui risale una delle più note rappresentazioni a noi note, la decorazione di un piatto greco. Anzi, Omero l’aveva descritta già da un paio di secoli, come figlia del gigante Tifone e sorella di altri sbagli di natura quali Cerbero (il cane a tre teste), Idra (il serpente che di teste ne aveva ben 9) e fors’anche la Sfinge (testa umana su corpo leonino e ali d’uccello). E, guarda caso, un ennesimo «mostro» animale – il cavallo alato Pegaso – fu responsabile della sua morte, permettendo all’eroe Bellerofonte di alzarsi in volo e trafiggerla con una lancia. Ma cosa rappresentava davvero questa belva, la cui anomalia principale sta forse proprio nella testa di capra piazzata – un po’ posticcia e con tanto di corna – nel bel mezzo della schiena del leone? Che ci azzecca, in altre parole, una bestia in genere mite, posta a spartiacque tra due animali feroci? Per un ibrido del genere, qualche studioso ha parlato di «illogicità», a causa appunto della composizione genetica apparentemente casual. Ma forse l’indizio migliore per dare una risposta credibile sta proprio nella presenza della capretta. La chimera, infatti, secondo una delle più accreditate interpretazioni (altri parlano di lei come simbolo delle stagioni, o di un’allegoria del vulcano, o di una costellazione, o addirittura come una figura psicoanalitica del complesso di Edipo) sarebbe l’impersonificazione della tempesta: la bocca ruggente del leone (il tuono), la saetta guizzante del serpente (il fulmine), la natura incendiaria del fuoco (la capra, che per gli antichi era appunto «sputafuoco»). L’ipotesi potrebbe essere rafforzata dagli studi del professor Olimpio Musso dell’università di Firenze, che ha trovato curiose corrispondenze tra il basco e le antiche lingue «mediterranee» o pelasgiche; ora, sia in basco che in accadico esistono alcune radici «kim» apparentate col significato di «provocare». La kimaira sarebbe dunque la «dea provocata», o dea della collera divina, espressa appunto nella tempesta. Del resto, nella mitologia babilonese l’uragano era dipinto come un leone alato, a volte soggiogato da una donna che teneva in pugno dei fulmini; e un passaggio grafico delle ali ripiegate a una testa di capra – secondo Bardi – non sarebbe di fatto improponibile. Insomma, da qualunque parte la sia affronti, la Chimera non svela mai del tutto il suo segreto. Anche sulla statua etrusca, infatti, sono pesati i più vari dubbi, soprattutto che potesse essere un falso medievale come la Lupa di Roma – tanta appare la sua perfezione esecutiva. Smentita dagli esperti questa eventualità, rimangono però altri misteri come l’oscura scritta «Tinscvil» incisa sulla zampa sinistra oppure la somiglianza della testa leonina coi doccioni delle grondaie negli edifici classici o con la bocca delle fontane antiche... D’altronde, la tempesta porta fuoco ma anche benefica acqua; e la terribile Chimera diventa tutto d’un tratto un po’ più mansueta.
Data recensione: 02/09/2008
Testata Giornalistica: Avvenire
Autore: Roberto Beretta