La poesia di Giancarlo Bianchi va da una confessione che scava nel profondo la propria voce ad accenni di inno di struttura vocativa: una sorta di movimento carsico fra luce ed ombra, o viceversa, che alla fine diviene un flusso dell’anima nelle sue caleidoscopiche variazioni.
E tutto questo viene vissuto come in un‘agape fraterna in cui la Parola assurge a un valore assoluto.
Questa sua ricerca ha inoltre il pregio di andare oltre i limiti confessionali ed allargarsi ad una spiritualità universale, cosmica addirittura, dove evento ed avvento finiscono col coincidere.
La scrittura scorre così in una dinamica “naturale” a cui il lettore deve affidarsi per entrare in queste vere e proprie epifanie del silenzio e dal silenzio.
Non è possibile, infatti, una lettura che si affidi esclusivamente al logos, ma occorre andare oltre, ascoltare l’oltre che il poeta evoca, come ha scritto Carmelo Mezzasalma in apertura, con una sua totale dedizione, devozione.
Ciò comporta una relazione con la musica, dove parti sinfoniche si compongono con voci di oratorio, tese alla coralità.
Diciamo che questo libro va visto come un’opera d’arte, proprio come sono la creazione e la vita di cui Bianchi è partecipe, e non esclusivamente come un testo di poesia.
Se questa operazione ha dei rischi, come quello di abbinare il dicibile sotto forma di preghiera con l’indicibile sotto forma di canto ed incanto, diciamo che Bianchi li ha superati con una grande prova di umiltà di ascolto e riuscendo quindi a dare vita a una sorta di poema, unico nel suo genere, come unica è la vita, anche all’interno della poesia italiana religiosa del Novecento.
La poesia di Giancarlo Bianchi va da una confessione che scava nel profondo la propria voce ad accenni di inno di struttura vocativa: una sorta di movimento carsico fra luce ed ombra, o viceversa, che alla fine diviene un flusso dell’anima nelle sue caleidoscopiche variazioni.
E tutto questo viene vissuto come in un‘agape fraterna in cui la Parola assurge a un valore assoluto.
Questa sua ricerca ha inoltre il pregio di andare oltre i limiti confessionali ed allargarsi ad una spiritualità universale, cosmica addirittura, dove evento ed avvento finiscono col coincidere.
La scrittura scorre così in una dinamica “naturale” a cui il lettore deve affidarsi per entrare in queste vere e proprie epifanie del silenzio e dal silenzio.
Non è possibile, infatti, una lettura che si affidi esclusivamente al logos, ma occorre andare oltre, ascoltare l’oltre che il poeta evoca, come ha scritto Carmelo Mezzasalma in apertura, con una sua totale dedizione, devozione.
Ciò comporta una relazione con la musica, dove parti sinfoniche si compongono con voci di oratorio, tese alla coralità.
Diciamo che questo libro va visto come un’opera d’arte, proprio come sono la creazione e la vita di cui Bianchi è partecipe, e non esclusivamente come un testo di poesia.
Se questa operazione ha dei rischi, come quello di abbinare il dicibile sotto forma di preghiera con l’indicibile sotto forma di canto ed incanto, diciamo che Bianchi li ha superati con una grande prova di umiltà di ascolto e riuscendo quindi a dare vita a una sorta di poema, unico nel suo genere, come unica è la vita, anche all’interno della poesia italiana religiosa del Novecento.
Polistampa, 2014
Pagine: 280
Caratteristiche: ill. b/n, br.
Formato: 14x20
ISBN: 978-88-596-1359-6
Collana:
Corymbos | Letteratura, prosa e poesia, 14
Settore: