Leggere Giovanni Pascoli in controluce a John Ronald Reuel Tolkien, analizzare il significato del saggio sul Fanciullino (manifesto teorico della sua poesia) comparandolo con il saggio Sulle fiabe del padre degli Hobbit e scoprire che, seppure i due scrittori appartengano a culture, luoghi e tempi diversi, si impegnano in un medesimo progetto: riformulare la scrittura epica in chiave moderna partendo dalla lingua, ricreata, riscoperta, risematizzata, in una parola resuscitata alla vita.
Una lingua antica (eppure attualissima) ripescata dal passato (il latino e gli antichi idiomi rurali per Pascoli, il sistema runico per Tolkien) per allestire una sintassi e un lessico contemporanei, anzi addirittura del futuro, affinché anche il balbettio della modernità possa trasformarsi in grandezza alla maniera antica, senza abdicare a se stessa.
In questo saggio, “eretico” rispetto alla critica tradizionale, Simonetta Bartolini guida il lettore alla riscoperta di Pascoli attraverso Tolkien (e in parte anche alla scoperta del Tolkien più profondo), e scopre che l’autobiografismo funebre fino a oggi considerato elemento fondante della poesia pascoliana è solo un pretesto per alludere ad altro.
I cari defunti che popolano, con il loro seguito di simboli (il nido, il cimitero, gli uccelli, le campane, ecc), le raccolte poetiche maggiori: Myricae, I canti di Castelvecchio, i Poemetti, altro non sono che l’antropomorfizzazione delle parole morte, e delle lingue morte in generale, per l’estinzione delle quali, come scriveva Contini, Pascoli provava altrettanta inquietudine e dolore che per i lutti domestici.
La poesia così attraverso la fiaba, come la teorizzerà nel 1939 Tolkien, che partecipa del mito, si propone come epos, e offre al lettore Ristoro e Consolazione diviene grande epica della contemporaneità di cui Myricae è il paradigma esemplare e le altre raccolte verticali di un’estetica assolutamente inedita.
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Leggere Giovanni Pascoli in controluce a John Ronald Reuel Tolkien, analizzare il significato del saggio sul Fanciullino (manifesto teorico della sua poesia) comparandolo con il saggio Sulle fiabe del padre degli Hobbit e scoprire che, seppure i due scrittori appartengano a culture, luoghi e tempi diversi, si impegnano in un medesimo progetto: riformulare la scrittura epica in chiave moderna partendo dalla lingua, ricreata, riscoperta, risematizzata, in una parola resuscitata alla vita.
Una lingua antica (eppure attualissima) ripescata dal passato (il latino e gli antichi idiomi rurali per Pascoli, il sistema runico per Tolkien) per allestire una sintassi e un lessico contemporanei, anzi addirittura del futuro, affinché anche il balbettio della modernità possa trasformarsi in grandezza alla maniera antica, senza abdicare a se stessa.
In questo saggio, “eretico” rispetto alla critica tradizionale, Simonetta Bartolini guida il lettore alla riscoperta di Pascoli attraverso Tolkien (e in parte anche alla scoperta del Tolkien più profondo), e scopre che l’autobiografismo funebre fino a oggi considerato elemento fondante della poesia pascoliana è solo un pretesto per alludere ad altro.
I cari defunti che popolano, con il loro seguito di simboli (il nido, il cimitero, gli uccelli, le campane, ecc), le raccolte poetiche maggiori: Myricae, I canti di Castelvecchio, i Poemetti, altro non sono che l’antropomorfizzazione delle parole morte, e delle lingue morte in generale, per l’estinzione delle quali, come scriveva Contini, Pascoli provava altrettanta inquietudine e dolore che per i lutti domestici.
La poesia così attraverso la fiaba, come la teorizzerà nel 1939 Tolkien, che partecipa del mito, si propone come epos, e offre al lettore Ristoro e Consolazione diviene grande epica della contemporaneità di cui Myricae è il paradigma esemplare e le altre raccolte verticali di un’estetica assolutamente inedita.
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Polistampa, 2013
Pagine: 80
Caratteristiche: br.
Formato: 14x21
ISBN: 978-88-596-1244-5
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