Signorina Rosina segnò l’esordio del ‘questore a riposo’ Antonio Pizzuto. Un esordio sui generis, che sublimava in perfette cadenze un trentennio di prove narrative (e di riflessioni sulla legittimità del ‘romanzo’), inaugurando la inaudita progressione stilistica condotta fino all’«alpinismo da sesto grado e oltre» (Contini) delle opere estreme.
A più di cinquanta anni dalla sua apparizione, consacrata dalle ristampe di Lerici (1959; 1967) ed Einaudi (1978), questo libro leggero, anzi filiforme, costruito «senza armature» eppure mirabilmente coeso, continua a chiedere ascolto, quasi esaudendo il voto dell’autore, suggellato in una lettera a Salvatore Spinelli (12 luglio 1956): «Nelle ultime righe… la protagonista si volta e si rivolta a fare cenni di addio al lettore: vi è una possibilità di non lasciarla sparire, quella di rileggere il gracile volumetto». Il gesto immaginario di Compiuta tradisce l’idea-guida della poetica pizzutiana: quella cioè di una scrittura che si protende oltre la pagina; che non si appaga di riprodurre staticamente la vita ma vuol farsi cangiante, imprevedibile ed unica come ogni creatura. Le modiche vicende della segretaria Compiuta e del suo maldestro amico, l’assistente edile Bibi, turbinanti in una girandola di fulminee epifanie quotidiane, diventano motivi musicali, sostituendo al ‘fatto’ e al ‘personaggio’ le loro risonanze, gli armonici di un transito che rimane insondabile. Il ‘reale’ schiude così una gamma di prismatiche possibilità e la signorina Rosina del titolo potrà essere di volta in volta la vecchia zia per cui la morte «fu tre sospiri», la zingara che attacca un bottone alla giacca di Bibi, la cuoca che prepara i pasti per padre Zazzi, il nome di un gruppo di asini, una donna che canta con voce di basso le litanie, la destinataria di una domanda (e contagiare l’isola Santa Rosa, la nave Rosina e una fuggevole signorina Rosa).
Nella concisa eleganza tutta apici e scorci del suo ‘sottovoce’, Signorina Rosina evoca un mondo senza gerarchie, dove ogni evento ha un suo incommensurabile valore; riflette la «tenerezza di chi sa che non esiste colpa o merito e che siamo tutti sostanzialmente diversi, cioè davvero sostanzialmente uguali» (Cordelli).
Postfazione di Denis Ferraris
Signorina Rosina segnò l’esordio del ‘questore a riposo’ Antonio Pizzuto. Un esordio sui generis, che sublimava in perfette cadenze un trentennio di prove narrative (e di riflessioni sulla legittimità del ‘romanzo’), inaugurando la inaudita progressione stilistica condotta fino all’«alpinismo da sesto grado e oltre» (Contini) delle opere estreme.
A più di cinquanta anni dalla sua apparizione, consacrata dalle ristampe di Lerici (1959; 1967) ed Einaudi (1978), questo libro leggero, anzi filiforme, costruito «senza armature» eppure mirabilmente coeso, continua a chiedere ascolto, quasi esaudendo il voto dell’autore, suggellato in una lettera a Salvatore Spinelli (12 luglio 1956): «Nelle ultime righe… la protagonista si volta e si rivolta a fare cenni di addio al lettore: vi è una possibilità di non lasciarla sparire, quella di rileggere il gracile volumetto». Il gesto immaginario di Compiuta tradisce l’idea-guida della poetica pizzutiana: quella cioè di una scrittura che si protende oltre la pagina; che non si appaga di riprodurre staticamente la vita ma vuol farsi cangiante, imprevedibile ed unica come ogni creatura. Le modiche vicende della segretaria Compiuta e del suo maldestro amico, l’assistente edile Bibi, turbinanti in una girandola di fulminee epifanie quotidiane, diventano motivi musicali, sostituendo al ‘fatto’ e al ‘personaggio’ le loro risonanze, gli armonici di un transito che rimane insondabile. Il ‘reale’ schiude così una gamma di prismatiche possibilità e la signorina Rosina del titolo potrà essere di volta in volta la vecchia zia per cui la morte «fu tre sospiri», la zingara che attacca un bottone alla giacca di Bibi, la cuoca che prepara i pasti per padre Zazzi, il nome di un gruppo di asini, una donna che canta con voce di basso le litanie, la destinataria di una domanda (e contagiare l’isola Santa Rosa, la nave Rosina e una fuggevole signorina Rosa).
Nella concisa eleganza tutta apici e scorci del suo ‘sottovoce’, Signorina Rosina evoca un mondo senza gerarchie, dove ogni evento ha un suo incommensurabile valore; riflette la «tenerezza di chi sa che non esiste colpa o merito e che siamo tutti sostanzialmente diversi, cioè davvero sostanzialmente uguali» (Cordelli).
Postfazione di Denis Ferraris
Polistampa, 2004
A cura di:
Pagine: 144
Caratteristiche: br.
Formato: 15x21
ISBN: 978-88-8304-669-8
Collana:
Antonio Pizzuto | Opere, 5
Settore: