Nacque a Cremona nel 1786 da Lorenzo, ingegnere, e da Luisa
Bondi. Compì gli studi nel ginnasio cittadino dei chierici regolari di San
Paolo; il 26 aprile 1804 entrò nell’Ordine per volontà del padre e per le
sollecitazioni di un monaco del collegio, frequentando le scuole di Monza,
Milano e Pavia. Nel 1807 fu nominato maestro supplente di belle lettere a Pavia
e l’anno dopo a Lodi. A seguito del decreto napoleonico del 25 apr. 1810 che
sopprimeva le congregazioni religiose, abbandonò il chiostro e rimase prete
secolare continuando a insegnare retorica e filosofia a Lodi fino al 1817, anno
in cui tenne due corsi, uno su propri compendi di metafisica da autori
francesi, l’altro sugli Elementi di filosofia di M. Gioia; ebbe anche
l’incarico di esaminatore dei maestri del distretto. Nel dicembre 1819 smise di
celebrare la messa e lasciò l’abito talare.
La sua attività letteraria si orientò dapprima verso la novellistica morale,
con una raccolta anonima di venti Racconti
per la gioventù (Lodi 1814), e verso la poesia, con liriche d’occasione e
con due raccolte di canzonette di registro patetico-elegiaco pubblicate a Lodi
nel 1817, ma stampate a Milano da G. Pirola. I due opuscoli furono riediti a
Imola nel 1818 e ottennero gli elogi di circostanza di Ippolito Pindemonte e di
Vincenzo Monti.
Dopo la caduta di Napoleone e il ritorno degli Austriaci in Lombardia, il Montani
poté contare sull’aiuto di alcuni amici per superare le difficoltà economiche
in cui si era venuto a trovare. Compì qualche viaggio a Venezia, Padova e
Parma, dove si entusiasmò alla vista delle opere del Correggio. Nel 1817
intervenne su «Lo Spettatore» in difesa dei propri versi giovanili e nella
primavera 1818, in opposizione alla Biblioteca italiana diretta da G. Acerbi,
tentò di dare vita a un periodico, la «Biblioteca straniera». Il progetto fu
abbandonato quando pochi mesi dopo, a Milano, venne avviato «Il Conciliatore»,
al cui gruppo promotore il Montani subito si avvicinò. Uno dei fondatori, Silvio
Pellico, intenzionato a dedicarsi al teatro tragico, aveva destinato a
succedergli il Montani, che però limitò la propria collaborazione a un solo
articolo.
In quegli anni, durante i quali ampliò la cerchia delle amicizie ottenendo
anche l’incarico di precettore a Varese di T. Dandolo, lavorò soprattutto come
collaboratore editoriale e traduttore. Nel 1820 il Montani si innamorò Fulvia
Verri: la incontrò più volte a Firenze e intrattenne con lei un lungo
carteggio. Nel febbraio 1823 gli editori A.F. Stella e F. Fusi gli chiesero di
dirigere la seconda Società tipografica dei classici italiani: malfermo in
salute, il Montani si vide costretto a spostarsi da Milano in Brianza e a
soggiornare a Balbianello, sul lago di Como, presso C. Verri. Già dall’estate
1822 si erano intensificati i contatti con Giovan Pietro Vieusseux, che nel
febbraio 1823 gli aveva affidato la gestione di una «Biblioteca d’educazione»
dedicata alle famiglie, agli istitutori e ai maestri di scuola elementare, ma
il progetto non fu portato a compimento. Cominciava così lo stretto sodalizio
del Montani col cenacolo degli intellettuali riuniti intorno al Vieusseux (G.
Capponi, P. Colletta, G. Poerio, F. Forti, G. Cioni, P. Capei), un impegno
esclusivo, che non gli consentì di realizzare altri progetti editoriali, come
una raccolta degli scritti di G.D. Romagnosi e l’annotazione per una nuova
edizione delle Opere del Vasari, da
lui avviata ma poi completata da G. Masselli e pubblicata a Firenze nel
1832-38. Spirito versatile, in piena sintonia con le idee del direttore
Vieusseux, fu il collaboratore ideale dell’«Antologia», che dovette molto a “questo
suo mediocre e purtroppo fragile, ma alacre e onesto redattore” (C.
Dionisotti). Nella recensione del Sermone
sulla mitologia di Vincenzo Monti condannò il ricorso alle «favole
antiche», proponendo per la moderna poesia temi socialmente utili di ambito
storico, politico, scientifico: “Chiunque riguarda la letteratura come una cosa
seria, non come un vano trastullo dello spirito, […] è irresistibilmente
portato al romanticismo, vale a dire ad un sistema filosofico, il quale non per
capriccio o per amore di novità rinuncia alla mitologia e alla servile
imitazione degli antichi, ma perché nella mitologia e nella servile imitazione
non trova più nulla che serva ai bisogni presenti”.
Scomparso il padre nell’estate 1827, il Montani non poté entrare in possesso
dell’eredità, gravata di debiti; tuttavia nella stagione fiorentina visse in
condizioni di relativa agiatezza, grazie ai proventi dell’attività
giornalistica e, in seguito, alla vendita a G. Tassinari della propria raccolta
libraria, in vista di un trasferimento progettato a causa di timori politici. Montani
morì dopo breve malattia a Firenze il 19 febbraio 1833. Il direttore dell’«Antologia»
lo ricordava come “prezioso amico ed eccellente collaboratore”, notando che
cinquecento persone “d’ogni grado e d’ogni maniera di professione e di studj”
furono presenti alla tumulazione nel chiostro di Santa Croce, dove Raffaello
Lambruschini tenne una breve orazione funebre.
Nacque a Cremona nel 1786 da Lorenzo, ingegnere, e da Luisa
Bondi. Compì gli studi nel ginnasio cittadino dei chierici regolari di San
Paolo; il 26 aprile 1804 entrò nell’Ordine per volontà del padre e per le
sollecitazioni di un monaco del collegio, frequentando le scuole di Monza,
Milano e Pavia. Nel 1807 fu nominato maestro supplente di belle lettere a Pavia
e l’anno dopo a Lodi. A seguito del decreto napoleonico del 25 apr. 1810 che
sopprimeva le congregazioni religiose, abbandonò il chiostro e rimase prete
secolare continuando a insegnare retorica e filosofia a Lodi fino al 1817, anno
in cui tenne due corsi, uno su propri compendi di metafisica da autori
francesi, l’altro sugli Elementi di filosofia di M. Gioia; ebbe anche
l’incarico di esaminatore dei maestri del distretto. Nel dicembre 1819 smise di
celebrare la messa e lasciò l’abito talare.
La sua attività letteraria si orientò dapprima verso la novellistica morale,
con una raccolta anonima di venti Racconti
per la gioventù (Lodi 1814), e verso la poesia, con liriche d’occasione e
con due raccolte di canzonette di registro patetico-elegiaco pubblicate a Lodi
nel 1817, ma stampate a Milano da G. Pirola. I due opuscoli furono riediti a
Imola nel 1818 e ottennero gli elogi di circostanza di Ippolito Pindemonte e di
Vincenzo Monti.
Dopo la caduta di Napoleone e il ritorno degli Austriaci in Lombardia, il Montani
poté contare sull’aiuto di alcuni amici per superare le difficoltà economiche
in cui si era venuto a trovare. Compì qualche viaggio a Venezia, Padova e
Parma, dove si entusiasmò alla vista delle opere del Correggio. Nel 1817
intervenne su «Lo Spettatore» in difesa dei propri versi giovanili e nella
primavera 1818, in opposizione alla Biblioteca italiana diretta da G. Acerbi,
tentò di dare vita a un periodico, la «Biblioteca straniera». Il progetto fu
abbandonato quando pochi mesi dopo, a Milano, venne avviato «Il Conciliatore»,
al cui gruppo promotore il Montani subito si avvicinò. Uno dei fondatori, Silvio
Pellico, intenzionato a dedicarsi al teatro tragico, aveva destinato a
succedergli il Montani, che però limitò la propria collaborazione a un solo
articolo.
In quegli anni, durante i quali ampliò la cerchia delle amicizie ottenendo
anche l’incarico di precettore a Varese di T. Dandolo, lavorò soprattutto come
collaboratore editoriale e traduttore. Nel 1820 il Montani si innamorò Fulvia
Verri: la incontrò più volte a Firenze e intrattenne con lei un lungo
carteggio. Nel febbraio 1823 gli editori A.F. Stella e F. Fusi gli chiesero di
dirigere la seconda Società tipografica dei classici italiani: malfermo in
salute, il Montani si vide costretto a spostarsi da Milano in Brianza e a
soggiornare a Balbianello, sul lago di Como, presso C. Verri. Già dall’estate
1822 si erano intensificati i contatti con Giovan Pietro Vieusseux, che nel
febbraio 1823 gli aveva affidato la gestione di una «Biblioteca d’educazione»
dedicata alle famiglie, agli istitutori e ai maestri di scuola elementare, ma
il progetto non fu portato a compimento. Cominciava così lo stretto sodalizio
del Montani col cenacolo degli intellettuali riuniti intorno al Vieusseux (G.
Capponi, P. Colletta, G. Poerio, F. Forti, G. Cioni, P. Capei), un impegno
esclusivo, che non gli consentì di realizzare altri progetti editoriali, come
una raccolta degli scritti di G.D. Romagnosi e l’annotazione per una nuova
edizione delle Opere del Vasari, da
lui avviata ma poi completata da G. Masselli e pubblicata a Firenze nel
1832-38. Spirito versatile, in piena sintonia con le idee del direttore
Vieusseux, fu il collaboratore ideale dell’«Antologia», che dovette molto a “questo
suo mediocre e purtroppo fragile, ma alacre e onesto redattore” (C.
Dionisotti). Nella recensione del Sermone
sulla mitologia di Vincenzo Monti condannò il ricorso alle «favole
antiche», proponendo per la moderna poesia temi socialmente utili di ambito
storico, politico, scientifico: “Chiunque riguarda la letteratura come una cosa
seria, non come un vano trastullo dello spirito, […] è irresistibilmente
portato al romanticismo, vale a dire ad un sistema filosofico, il quale non per
capriccio o per amore di novità rinuncia alla mitologia e alla servile
imitazione degli antichi, ma perché nella mitologia e nella servile imitazione
non trova più nulla che serva ai bisogni presenti”.
Scomparso il padre nell’estate 1827, il Montani non poté entrare in possesso
dell’eredità, gravata di debiti; tuttavia nella stagione fiorentina visse in
condizioni di relativa agiatezza, grazie ai proventi dell’attività
giornalistica e, in seguito, alla vendita a G. Tassinari della propria raccolta
libraria, in vista di un trasferimento progettato a causa di timori politici. Montani
morì dopo breve malattia a Firenze il 19 febbraio 1833. Il direttore dell’«Antologia»
lo ricordava come “prezioso amico ed eccellente collaboratore”, notando che
cinquecento persone “d’ogni grado e d’ogni maniera di professione e di studj”
furono presenti alla tumulazione nel chiostro di Santa Croce, dove Raffaello
Lambruschini tenne una breve orazione funebre.