Figlia d’un ferroviere siciliano e di una madre inglese che sognava un avvenire nel ballo, Silvana Mangano studia danza classica, partecipa a vari concorsi di bellezza – all’età di 16 anni è eletta Miss Roma – e appare come figurante in pellicole d’un certo pregio. La sua consacrazione giunge, subitanea, con Riso amaro (1949). Il matrimonio con il produttore Dino De Laurentiis, il medesimo anno, le consente di gestire al meglio la propria carriera: nelle stagioni a venire, avrà modo di lavorare coi più quotati interpreti italiani (Gassman, Vallone, Nazzari, Sordi) e internazionali (Douglas, Quinn, Perkins), diretta da cineasti di prestigio (Camerini, De Sica, Lizzani, Monicelli, Visconti, Pasolini). Ancora seduttiva e passionale ne Il lupo della Sila (1949) di Duilio Coletti e ne Il brigante Musolino (1950) di Camerini, in Anna (1951) di Lattuada è una ballerina di night che si fa suora e ne L’oro di Napoli (1954) di Vittorio De Sica una prostituta che si sposa. Di nuovo protagonista, accanto a Yves Montand, di un film di De Santis, Uomini e lupi (1956), si cimenta pure in ruoli da commedia – ne La grande guerra (1959) di Mario Monicelli e in Crimen (1961) di Mario Camerini – sempre prediligendo, tuttavia, quelli drammatici, come l’intensa Edda Ciano de Il processo di Verona (1963) di Carlo Lizzani. Via via più selettiva nelle proprie scelte, in seguito ella compare di preferenza in opere di qualità, sotto la direzione di Pasolini (è Giocasta in Edipo re, 1967, e inquieta borghese in Teorema, 1968) e Visconti (Morte a Venezia, 1971, Ludwig, 1972, Gruppo di famiglia in un interno, 1974). Ritiratasi dal cinema a metà degli anni Settanta per dedicarsi esclusivamente alla famiglia, vi torna nel 1984, partecipando a Dune di David Lynch, prodotto dalla figlia Raffaella; infine, si congeda incarnando in maniera indimenticabile la moglie dell’atipico viaggiatore – uno strepitoso Marcello Mastroianni – in Oci Ciornie (1987) di Nikita Michalkov. Colpita da un gravissimo lutto (la scomparsa repentina dell’adorato figlio Federico), si separa dal marito – col quale si era, da tempo, trasferita negli Stati Uniti – e torna in Europa. Qui, vittima di un tumore ai polmoni, si spegne nell’89 in una clinica madrilena.
Figlia d’un ferroviere siciliano e di una madre inglese che sognava un avvenire nel ballo, Silvana Mangano studia danza classica, partecipa a vari concorsi di bellezza – all’età di 16 anni è eletta Miss Roma – e appare come figurante in pellicole d’un certo pregio. La sua consacrazione giunge, subitanea, con Riso amaro (1949). Il matrimonio con il produttore Dino De Laurentiis, il medesimo anno, le consente di gestire al meglio la propria carriera: nelle stagioni a venire, avrà modo di lavorare coi più quotati interpreti italiani (Gassman, Vallone, Nazzari, Sordi) e internazionali (Douglas, Quinn, Perkins), diretta da cineasti di prestigio (Camerini, De Sica, Lizzani, Monicelli, Visconti, Pasolini). Ancora seduttiva e passionale ne Il lupo della Sila (1949) di Duilio Coletti e ne Il brigante Musolino (1950) di Camerini, in Anna (1951) di Lattuada è una ballerina di night che si fa suora e ne L’oro di Napoli (1954) di Vittorio De Sica una prostituta che si sposa. Di nuovo protagonista, accanto a Yves Montand, di un film di De Santis, Uomini e lupi (1956), si cimenta pure in ruoli da commedia – ne La grande guerra (1959) di Mario Monicelli e in Crimen (1961) di Mario Camerini – sempre prediligendo, tuttavia, quelli drammatici, come l’intensa Edda Ciano de Il processo di Verona (1963) di Carlo Lizzani. Via via più selettiva nelle proprie scelte, in seguito ella compare di preferenza in opere di qualità, sotto la direzione di Pasolini (è Giocasta in Edipo re, 1967, e inquieta borghese in Teorema, 1968) e Visconti (Morte a Venezia, 1971, Ludwig, 1972, Gruppo di famiglia in un interno, 1974). Ritiratasi dal cinema a metà degli anni Settanta per dedicarsi esclusivamente alla famiglia, vi torna nel 1984, partecipando a Dune di David Lynch, prodotto dalla figlia Raffaella; infine, si congeda incarnando in maniera indimenticabile la moglie dell’atipico viaggiatore – uno strepitoso Marcello Mastroianni – in Oci Ciornie (1987) di Nikita Michalkov. Colpita da un gravissimo lutto (la scomparsa repentina dell’adorato figlio Federico), si separa dal marito – col quale si era, da tempo, trasferita negli Stati Uniti – e torna in Europa. Qui, vittima di un tumore ai polmoni, si spegne nell’89 in una clinica madrilena.